The Artist, un esercizio di stile, ironico e citazionista per un Oscar che si guarda volentieri

The Artist, di Michel Hazanavicius  (2011)
The Artist è il film vincitore degli Oscar 2012, manifestazione la cui considerazione personale è pari a una versione cine-yankee del Festival di Sanremo, tra l’altro senza farfalle, Celentano e Patti Smith. Peggio di queste cose, ci sono solo gli atteggiamenti spocchiosi di chi snobba questo genere di premi, quindi eccoci qua a parlare di questo film muto e con (poche) didascalie, in omaggio alla primissima stagione della celluloide, dai primi anni del novecento fino a circa gli anni trenta. Il film è realizzato benissimo: dal punto di vista scenografico si assiste a una messa in scena perfettamente calata in quegli anni; a livello recitativo, i protagonisti sono eccellenti e sembrano in tutto e per tutto personaggi di inizio secolo (e l’Oscar per il trucco, no?), con accorgimenti recitativi propri di quegli anni davvero molto fini; a livello di regia e sceneggiatura, si assiste a veri e propri tocchi di classe, a servizio di una storia che vede protagonista un attore muto che si rifiuta di convertirsi al sonoro alle porte degli anni trenta, nel momento della sua nascita. Capirete che un film muto sull’ascesa del sonoro, già di per sé idea originale, dà luce a scene gustose e spesso geniali, che scoprirete da soli durante la visione. Per un giudizio complessivo, va anche detto che, nonostante il buon ritmo, novantacinque minuti sono tanti, e la storia in sé non offre particolari sorprese. Ciò che ci lascia The Artist è un esercizio di stile gustoso, ironico e ultracitazionista (si occuperebbe tutto il giornale a elencarle), che piacerà moltissimo a cinefili e nostalgici, e che fa sperare a tutti che ora non diventi però una moda. Memorabili il cane, il sorriso del protagonista e gli oggetti che fanno rumore all’alba del sonoro. E, per magia, lo sentiamo anche noi. Caro Oscar, non premi quasi mai i migliori, ma i tuoi vincitori si guardano sempre volentieri.

Silent movie, di Mel Brooks (1976)
Anche il comico Mel Brooks, trentacinque anni prima del collega francese Hazanavicius, aveva omaggiato a suo modo il cinema muto, sotto forma ovviamente di parodia. Nel 1976 Brooks era all’apice del successo: dopo un ottimo inizio di carriera, nel 1974 si era imposto all’attenzione mondiale come autore di parodie, grazie ai meravigliosi Mezzogiorno e mezzo di fuoco e Frankenstein Junior. Scegliere di parodiare un film muto rappresentava certamente una sfida, vinta agevolmente grazie a un film frizzante, divertente e ovviamente cinefilo, realizzato con l’aiuto e la presenza nel film di amici, che va dall’indimenticato Marty Feldman (Igor, anzi Aigor), a Burt Reynolds, Liza Minelli, James Caan, Anne Bancroft e Paul Newman. Come in The Artist, anche qui si parla di cinema, e più precisamente delle peripezie produttive che succedono a un gruppo di sceneggiatori che vogliono realizzare un film muto, ma a differenza del pluripremiato collega, questo film è ambientato nel presente (1976) ed è girato a colori. Tra una risata e l’altra, c’è anche un riferimento politico a come le grandi società di produzione inglobino senza pietà le piccole, fenomeno molto in voga in quegli anni a Hollywood. Tra le tante scene gustose, una su tutte: l’unica battuta sonora del film, “no!”, viene detta da Marcel Marceau, un mimo! Reperibile in dvd col titolo italiano, Oscar per la peggior “traduzione” di tutti i tempi: L’ultima follia di Mel Brooks. Rabbrividiamo. E poi guardiamolo.

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