The Master, due ore e mezza di tortura per masochisti

THE MASTER, di Paul Thomas Anderson (2012)
Un uomo torna segnato dalla Seconda Guerra Mondiale, carico di traumi che sfoga con alcolismo e dipendenza sfrenata dalla sessualità; in uno dei suoi casuali incontri, si appassiona alla vita, alla famiglia e alle teorie del capo di una setta religiosa. Con la (presunta) maturità artistica, Anderson (non quello di Moonrise Kingdom, ma l’autore di Magnolia, Ubriaco d’amore e Il petroliere) crolla miseramente sotto i colpi della propria presunzione e della ricerca smasmodica di colpire e stupire lo spettatore, finendo col creare confusione a tutti. Ma chi sono questi “tutti”? Innanzitutto la messa in scena, talmente magniloquente e promettente, che sfocia nel ridicolo, nell’incapacità di rappresentare una storia inesistente, mal scritta e probabilmente in condizioni più alcoliche del suo protagonista; in seconda battuta i tanto osannati attori, due bravi professionisti che ovviano al loro disorientamento recitativo con sonore e francamente ridicole risate; e soprattutto agli sventurati spettatori, sinceri appassionati di cinema alla ricerca di storie, emozioni e puro piacere personale, che dopo una mezz’oretta si trovano davanti a un pasticcio di dimensioni enormi, senza capo (spirituale e terreno) né coda, senza una trama, senza un senso e senza alcun presagio, per le due ore e passa, che qualcosa possa migliorare. Vista la grande, disarmante, accoglienza alla Mostra di Venezia di quest’anno, il critico rampante che arriva già col compitino preparato (Anderson è un fenomeno, gli attori sono fantastici) riuscirà a trovare un qualche sotterfugio dialettico e culturale per farselo piacere, ma il senso di masochismo presto lo pervaderà impietosamente. Due ore e mezza di tortura, per un film che solo il grande Fantozzi può definire in modo preciso e conciso.

DAMSEL IN DISTRESS, di Whit Stillman (2011)  
Il film è stato presentato fuori concorso alla Mostra di Venezia nel 2011 con l’appellativo di “Animal House al femminile”, probabilmente datogli da qualcuno che col protagonista di The Master, condivide la pesante dipendenza da alcol. Inoltre ci si è messo il distributore italiano che ha sottolineato un Ragazze allo sbando, quando le fanciulle sono semplicemente schiave delle loro angosce giovanili. Dulcis in fundo, distribuire il film ad agosto in Italia, non è proprio…. periodo. Stillman è un regista atipico, ha 60 anni, ha fatto tre film bizzarri negli anni novanta, poi dopo 13 anni, questo. Chi si ricorda il simpatico The Last Days Of Disco, riconoscerà lo stile indipendente del regista, più vicino a un Todd Solondz e a un Wes Anderson (non quello di prima), che alla commedia americana figlia dei telefilm (non un dispregiativo, anzi); un autore capace di ritrarre persone a volte bizzarre, a volte depresse, oppure spesso semplicemente introverse. Un cinema piuttosto freddo, in cui gli eventi lasciano spazio ai dialoghi, serrati e stravaganti; nel film si sorride, ci si lega alle protagoniste, quattro ragazze del college (tutti nomi di fiori) che gestiscono l’Agenzia di Prevenzione Suicidi, e si ascolta e si assiste al loro male di vivere, senza drammi, ma caratteristico di un’età e una generazione. Una commedia, dai toni lievi e godibili, che tende a spiazzare per il suo fuggire dal film-party, nonostante l’inizio, e rifugiarsi in quello che un vero e proprio valzer di parole (Strauss regna, anche nel film), sensazioni, avversioni e difficoltà del mondo che avvolge le nostre protagoniste. Il ballo è anche in questo film elemento centrale, in quanto la protagonista Violet, riuscirà a inventarne uno nuovo, che non sveleremo per non rovinarvi la parte più divertente e originale di una commedia adatta alla visione casalinga, visto che il dvd è appena uscito.

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