Torna l’inquietante cinema di Michael Haneke con la Palma d’Oro Il nastro bianco

Il nastro bianco di Michael Haneke
Germania, 1914. In un villaggio iniziano ad accadere strani incidenti che scuotono la comunità, eventi che ben presto somiglieranno a rituali punitivi. Protagonisti della vicenda, il gruppo dei ragazzi e il loro giovane maestro, voce (anziana) narrante del film.

Haneke colloca il villaggio del Dogville di Von Trier in un preciso contesto geografico e temporale, e offre, senza commenti e in maniera impeccabile, una rappresentazione delle radici del male, attraverso la descrizione di una comunità governata da principi duri e rigorosamente governati dal fondamentalismo religioso. Il nastro bianco del titolo è il simbolo che il pastore protestante, vero leader del villaggio, costringe i suoi figli a indossare, al braccio o tra i capelli, affinché ritrovino purezza e virtù e non cadano nella tentazione del peccato, sia spirituale che corporale. Queste utopie educative formeranno in modo tragico le coscienze dei giovani protagonisti, non nelle azioni compiute quanto nei piccoli atteggiamenti e negli sguardi. L’ambientazione e la collocazione temporale danno allo spettatore ulteriori spunti di analisi storico-sociologica: non è un caso se un impero costruito attraverso la cieca obbedienza delle nuove generazioni assumerà il carattere tetro e trionfale del nazismo. Il film, che tra l’altro dura quasi due ore e mezza, è pesante, sia nelle tematiche che nel ritmo non particolarmente sostenuto. Ma è in questi casi che il cinema rivela la sua magia: una splendida fotografia in “grigio e nero”, fredda e di stampo bergmaniano, attori pienamente in parte e un’intelligente sceneggiatura che alterna vita di comunità a episodi singoli, eventi gioiosi a drammi. Sono questi gli elementi che rendono Il nastro bianco un film difficile ed eccezionale. 9

Funny Games di Michael Haneke (1997)
Non tutti sanno che il Funny Games uscito da noi nel 2008, è un remake-fotocopia dell’omonimo film che lo stesso regista ha diretto undici anni prima. La storia è sempre quella di una famiglia borghese aggredita e lentamente torturata nella loro residenza estiva da due giovani squilibrati. La differenza sostanziale tra i due film, molto simili, sta negli attori, per lo più sconosciuti in questo originale austriaco (compreso il grandissimo e compianto Ulrich Muhe, protagonista di Le vite degli altri): questo elemento mette certamente ancor più sconcerto nello spettatore, al centro di una vera e propria tortura d’autore. A differenza della quasi totalità del cinema horror, Haneke in Funny Games non mette in scena la violenza, non la mostra mai, quasi a voler fornire allo spettatore il dubbio tra finzione e realtà, stravolto e ironizzato nella scena del videoregistratore (non c’erano i lettori dvd nel 1997). È ingegnoso, Funny Games, inquietante e sperimentale, molto più efficace della sua pur similissima fotocopia, realizzata per spedire oltreoceano a un pubblico affamato di violenza, un film che negli anni ’90 non aveva visto nessuno, tanto che in Italia fu scoperto grazie all’home video. 8
Nota a margine: l’auto-remake di un proprio film da parte del regista non è una novità: De Mille rifece due volte I dieci comandamenti, McCarey Un amore splendido. Ma il caso più importante è datato 1956: non contento della “prima” del 1934, Alfred Hitchcock realizzò nuovamente uno dei suoi film più noti, L’uomo che sapeva troppo, regalandoci il capolavoro che tutti noi conosciamo.
Filmografia recente di Michael Haneke: Funny Games (1997), Storie (2000), La pianista (2001), Il tempo dei lupi (2003), Niente da nascondere (2005), Funny Games (2007), Il nastro bianco (2009).

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