Torna Truffaut nelle sale ed è bene andare a vederlo

I 400 colpi (di François Truffaut, 1959)
Torna in sala dopo 55 anni, e soprattutto a 30 dalla morte del regista, uno dei classici assoluti del cinema mondiale, un film che segna il passaggio tra due epoche cinematografiche fondamentali del vecchio continente. Era la fine degli anni Cinquanta e l’Italia neorealista era considerata la spina dorsale del cinema del dopoguerra, quando un gruppo di giovani francesi si ritrova insieme per un’idea di cinema da un lato classica, realista, dall’altro assolutamente nuova nelle tecniche. La Nouvelle Vague (“nuova onda”) trova proprio ne I 400 colpi, un’opera prima di un critico cinematografico uno dei suoi pilastri. Truffaut infatti ha riportato sullo schermo dagli anni Sessanta fino ai primi anni Ottanta (il regista è morto a soli 52 anni), la lezione dei maestri francesi, italiani e del suo grande idolo Hitchcock, con ingegnose rivisitazioni e un senso dell’attualità che lo hanno portato ai vertici del cinema mondiale. Il titolo, tradotto letteralmente, significa dal francese “fare il diavolo a quattro” e il film parla dell’infanzia difficile e ribelle del giovane Antoine Doinel e del suo graduale passaggio all’età adulta attraverso episodi che coinvolgono la sua famiglia e la scuola. Una storia umana constestualizzata in una critica feroce alla società dei tempi ha fatto del film non solo un manifesto della Nouvelle Vague, ma un vero e proprio modello per tanti registi europei e americani nell’approccio alla materia filmica. Inoltre il film per lo stesso regista francese è stato il primo di una serie di cinque film dedicate al personaggio di Antoine Doinel: Antoine e Colette (cortometraggio compreso nel film collettivo L’amore a vent’anni), il bellissimo Baci rubati, il più leggero e  disgraziatamente tradotto Non drammatizziamoè solo questione di corna (in originale Domicile Conjugal) fino all’ultimo episodio dal titolo L’amore fugge.
La mafia uccide solo d’estate (di Pif, 2013)
Consigliatovi su questa rubrica come visione estiva sulla fiducia e non sull’effettiva visione, occorre sempre testare l’attendibilità e il valore di un invito a scatola chiusa. Non proprio inventore, ma certamente alfiere di un nuovo linguaggio televisivo, Pif trasferisce sul grande schermo il suo stile in modo assolutamente perfetto e costruisce una storia vera e tragica in maniera surreale e ironica, che nella prima parte risulta impeccabile sotto ogni aspetto. Il personaggio protagonista che cresce e s’innamora nella Palermo degli anni in cui viene iniziata la battaglia alla mafia perde qualche colpo quando cresce, risultando più didascalico e meno “magico”, ma nel suo complesso il film è una delle cose più belle, e non solo italiane, viste negli ultimi anni. Inoltre, il grande valore didattico ne fanno un film da proiettare in ogni ordine di scuola. Per chi non l’ha visto, potrebbe sembrare un film simile a La vita è bella; chi vi scrive, vi rassicura che i due film non hanno nulla a che vedere. Ma Pif sta due spanne sopra, a parte il finale da famiglia del mulino bianco.

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