“True detective”, puro cinema, camuffato da serie tv

Deserto in sala, o per lo meno offerte poco accattivanti, visto che se si tolgono i soliti titoli da Oscar recensiti abbondantemente, ci restano cenerentole, auto velocissime, una vagonata di film italiani che non ispirerebbero neanche una prima serata televisiva, e i soliti thriller risaputi. È probabile che tra tutti questi titoli si nasconda la chicca, ma questa volta la rubrica alza bandiera bianca e vi dice di scegliere a caso secondo i generi che più vi piacciono. Perchè per non arrivare fuori tempo massimo, c’è un cinema, camuffato da serie televisiva e fortunatamente piuttosto visibile, che chiede spazio.
True Detective (di Nic Pizzolatto, 2014). Prima stagione, 8 episodi
Louisiana, 2012. Rust e Marty sono due detective che raccontano la loro vana caccia a un serial killer ricercato fin dal 1995. Diviso tra flashback, racconti in prima persona e narrazione contemporanea, la serie racconta la riapertura del caso e le conseguenze psicologiche che hanno subito i due protagonisti dopo 17 anni di buio. Fin dall’elegante e trainante sigla iniziale (Far From Any Road, dei The Handsome Family), e passando dalla scelta del cast che comprende due grandi attori quali Woody Harrelson e Matthew McCounaghey, si capisce subito che True Detective è espressione di puro cinema, che per lunghezza e ritmo della narrazione trova in televisione la sua unica collocazione. Il paragone con Twin Peaks viene spontaneo soprattutto per queste caratteristiche, per una messa in scena e per una forma di espressione che li distingue in modo chiaro dal modo tradizionale di fare serial. Acclamatissima da pubblico e critica, la serie presenta molte eccellenze, a partire dalla fotografia da urlo, passando per la sceneggiatura intelligente fino alle interpretazioni dei due protagonisti, in particolare all’impeccabile trasformismo fisico e psicologico di McCounaghey. True Detective piace e si piace addosso, e si vede in ogni singola scena o dialogo, ma è in fondo un narcisismo che non dà fastidio, perchè se ne condivide la bellezza. Otto episodi carichi di mistero e avvincenti, nonostante il ritmo volutamente compassato, che sfociano in un finale probabilmente non all’altezza nelle sue ultime scene, ma anche difficile da vedere e realizzare in altro modo. True Detective, che avrà una seconda stagione con un altro cast e un’altra storia, ha dato scacco matto al cinema contemporaneo e ha rilanciato il mini serial come forma narrativa ideale per un racconto di media durata, distinguendosi sia da un cinema spesso superficiale, sia da serie come Lost che in passato ci hanno dimostrato che i misteri non possono durare troppo a lungo. E così si dà il via, negli Usa (Fargo) come da noi (Gomorra), a questa forma di racconto televisivo che forse rivoluzionerà il nostro amore per il cinema.
Sempre a proposito di Twin Peaks, i più informati sanno che a ottobre il network televisivo Showtime aveva  annunciato una terza serie, scritta da David Lynch e da Mark Frost (come nel 1990), per la direzione dello stesso Lynch. Proprio pochi giorni fa il regista ha annunciato il mancato accordo economico con Showtime dichiarando ufficialmente di abbandonare il progetto. A oggi, il network ha dichiarato di sperare in un cambiamento d’idea dello stesso Lynch. Venticinque anni dopo. Cosa sperare?

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