Un film noioso e pretenzioso. Meglio l’animazione giapponese

Under The Skin (di Jonathan Glazer, 2013)
“Come abbiamo sentito, per molte ragioni il 2014 è un anno molto importate per la Scozia. Il referendum, ovviamente. Oggi diranno la data”, recita alla radio l’annunciatrice durante una scena del film. E visto che questa rubrica vuole essere sempre sul pezzo, rispondiamo pubblicando la recensione proprio nel giorno di questo atteso referendum scozzese, anche se il discorso politico finisce qui. Under The Skin, liberamente tratto da Sotto la pelle di Michel Faber, è l’ultimo film del mai qui troppo amato Jonathan Glazer (ricordate il pessimo Birth con Nicole Kidman?), con la star del momento, Scarlett Johansson in versione molto sexy. Il film è fantascientifico e parla di un’aliena che si impossessa del corpo di una ragazza morta e si mette a girare in auto la Scozia per sedurre alcuni malcapitati di turno, per poi farli svanire nel nulla. Ma in realtà le ambizioni del regista scozzese sono ben altre e soprattutto troppo alte. Il film parte con un incomprensibile trionfo di colori che dovrebbe (forse) rappresentare l’occhio della protagonista; se dopo questi dieci minuti si è sopravvissuti, vi ritroverete presto nelle scene dove l’aliena fa sparire i suoi avventori: una sorta di viaggio onirico, ripetuto e ripetitivo,  tra corpi nudi, dove quello maschile affonda nell’acqua; se siete sopravvissuti cercherete a un certo punto un finale che in realtà è svanito nel nulla proprio come i maschietti della Scarlett. Il film è volutamente incomprensibile, più noioso di un qualsiasi sermone, e talmente pretenzioso da strizzare l’occhio a modelli talmente alti, come 2001 Odissea nello spazio e L’uomo che cadde sulla terra, da offenderli. Una scena assai banale, con un incontro tra l’aliena e un “Elephant Man” (altra citazione offensiva) vuole forse mandare un messaggio sulla diversità; ma ciò che appare chiaro a livello di senso della storia è che se non siete dei fotomodelli e incontrate una gran bella tipa che vi adesca, non fidatevi. Grazie della scoperta. E anche sulla sensualità della Johansson ci sarebbe da ridire.
Il giardino delle parole (di Makoto Shinkai, 2013) Due parole su questo mediometraggio (45 minuti) animato, escluso per motivi di spazio dall’accoppiata con Miyazaki della scorsa settimana. Una storia d’amore sussurrata tra uno studente e una docente ambientato in un giardino magnificamente rappresentato e dominato dalla pioggia, come simbolo delle solitudini reciproche. Il film è uscito nelle sale ma visto anche la sua breve durata, raggiunge nella sfera casalinga una dimensione ideale: nulla di nuovo o eccezionale sia nell’ambito dei cartoni che in quello dei sentimenti, ma certamente ancora una prova che i giapponesi in questa forma raggiungono lo stato dell’arte, soprattutto a livello visivo. La relazione, complicata e mai resa esplicita, tra i protagonisti è spesso espressa grazie a sorrisi e pensieri, piuttosto che alle poche parole, a dispetto del titolo. Da recuperare.

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