Un film sulla musica, forse scontato, ma delizioso per i morbidi di cuore

Tutto può cambiare (di John Carney, 2013)
John Carney, alla sua opera seconda, ci comunica ufficialmente che la sua vita cinematografica è indissolubilmente legata alla musica. Dopo il magnifico debutto con Once, musical d’amore originale, sorprendente e dublinese, il regista si trasferisce a New York per un’altra favola, ancora musicale (ma non è un musical, attenzione) sotto forma di commedia. Il film inizia con l’incontro tra l’ormai fallito produttore Dan Mulligan e la giovane aspirante (ma non troppo) cantautrice Gretta, arrivata dall’Inghilterra col suo fidanzato, pop star (interpretata da una reale cantautore, Adam Levine dei Maroon 5) che per colpa del successo improvviso, perde la testa per un’altra. Dan s’innamora della musica di Gretta e tenta di rialzare la vita di entrambi registrando per lei l’album di debutto, che vedrà proprio la Grande Mela come scenario. Attore protagonista, la musica: tutto passa attorno a lei. Accanto a questo attore etereo, va segnalato il resto del cast: dietro la sorprendente cantautrice Keira Knightley e il sempre bravissimo perdente Mark Ruffalo, fa da sfondo un affiatato gruppo di comprimari deliziosi, in primis lo stesso Levine che oltre al fisico presta anche alcune delle sue canzoni, ballate pop godibili e soprattutto ben contestualizzate. La storia, introdotta da una scena comune, vista dalle due diverse soggettività dei protagonisti, prosegue in maniera perfettamente lineare, tenendo il filo senza particolari intoppi o sorprese, spesso arricchendosi con battute e situazioni divertenti, su tutte quella legata all’incontro col rapper arricchito, piena di affettuosa ironia nei confronti di un genere musicale evidentemente non amatissimo. Poi c’è New York, un teatro a cielo aperto, qui mai banale e ripresa in luoghi meno consueti del solito ma di sicuro fascino. Un film completamente al servizio della musica, una specie di School of Rock con la leggerezza di un Love Actually. Un film sentimentale dove i sentimenti non trovano espressione se non nelle note musicali, a volte suonate, a volte semplicemente raccontate. Un film che riesce, pur nella sua semplicità, a raccontare la magia della nascita di un disco, di cosa voglia dire “produzione”. Un film che non ha il vezzo autoriale, che è probabilmente scontato, prevedibile e ruffiano, e che non farà certo alzare dal divano lo stanco cinefilo ormai esclusivamente preda e vittima di lunghe e statiche inquadrature da paesi esotici e lontani. Un film, che nella sua risoluzione, e poco bisogna dire, sa invece stupire, fugge da banalità e buonismi accennati, da realtà melò e melodiche, per tornare per la prima volta dopo cento minuti coi piedi per terra e ricominciare esattamente da dov’era iniziato, per riaffidare ai suoi protagonisti le chiavi della loro vita e per dare un nuovo inizio a storie che lo spettatore può solo immaginarsi durante i titoli di coda. Non è un caso che il titolo originale sia proprio Begin Again (Ricominciamo). E, forse, da quei divani ci si potrebbe alzare davvero, perché quella piccola e semplice cosa, per i morbidi di cuore e per chi copre spesso le orecchie con un paio di cuffie, rischia davvero di essere un film delizioso.

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