Un grande film… dal titolo bugiardo

L’amore bugiardo – Gone Girl (di David Fincher, 2014)
David Fincher, come detto qualche numero fa, è un regista semplicemente eccezionale, guardate la sua filmografia in rete. Vista? Quindi, nessun dubbio che ogni suo film, fino a che non perde la testa o la mano (alla Scorsese, per intenderci), non solo va guardato, va atteso. Lasciando perdere l’obbrobrioso appellativo tricolore, Gone Girl parla appunto di una moglie svanita nel nulla, e della progressiva caduta all’inferno del marito, sospettato di omicidio. Nel film succedono tantissime altre cose, visto che dura due ore e mezza, ma è bene fermarsi qui. La prima parte, come storia, stile, protagonista femminile e quant’altro rimanda fortemente a quel capolavoro che è La donna che visse due volte di Hitchcock. L’attrice Rosamund Pike non è notissima ma qui è davvero notevole, ed è sulla sua Amy che Fincher disegna il film, che vede nell’altro protagonista Ben Affleck il suo perfetto contraltare: un marito totalmente disorientato e inizialmente incapace in ogni cosa. Il film evolve, non sorprende più di tanto ma non era questo lo scopo, in un feroce noir che prende di mira non solo la famiglia americana e i suoi stereotipi, ma ancora una volta la televisione e la gente comune, alla ricerca di quei famosi pochi minuti di celebrità. L’equilibrio nel film è perfetto e la sua commistione di generi che ha fatto storcere il naso ad alcuni rappresenta il suo punto di forza: un giallo che non fa paura, un noir che non sorprende, una commedia che non fa ridere, un dramma che non fa piangere. Un film eccellente per quasi tutta la sua durata, equilibrato, avvincente e davvero pungente, che non ha paura di spogliare mariti e mogli in tutte le debolezze che possono avere, rigirandole come un calzino e mettendole alla berlina. Il film fa perfettamente centro proprio tra le mura domestiche e quando la famiglia si mostra prima ai media, poi a una società perfettamente manipolata dai media stessi. Fincher ha un interesse secondario per il thriller e lo mostra in un finale che forse doveva risultare meno approssimativo e frettoloso, anche se dopo due ore e mezzo il rischio stanchezza è alto. La curiosità di chi vi scrive fresco di visione sta anche nel capire la forma che prenderà questo film nella memoria dello spettatore, quanto possa crescere o meno col passare dei giorni. Perchè la grandezza di un film sta proprio nella sua durata nei pensieri di chi lo guarda. E anche i giudizi mutano, il Salvatores della scorsa settimana, a titolo di esempio, si è sgonfiato quasi del tutto. Mettiamoci tutti in gioco e andiamo a vedere questo grande film dal titolo ahimè davvero bugiardo.
Post Scriptum. In questa rubrica non vedrete la recensione di American Sniper di Clint Eastwood e Big Eyes di Tim Burton, e il motivo sta proprio nell’etica del pregiudizio espressa negli ultimi articoli del 2014 (2 articoli fa). Non essendoci l’obbligo (grazie Direttore) nella scelta del film, il recensore non vuole annoiarsi e si appella proprio a quest’etica: non vuole vedere un film repubblicano patriottico e neanche un film tv per famiglie in prima serata completamente raccontato dal trailer. Nulla. E la convinzione che saranno davvero così è forte. Come è assai possibile che i pregiudizi sopra siano delle fesserie. A questo punto, l’invito è di andare a vederli  anche se siete solo un po’ incuriositi, perchè questa rubrica non deve mai e poi mai scoraggiare alcun tipo di visione. E, un consiglio, non date retta a nessuno sul cinema, il gusto è un sentimento del tutto personale.

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