Un invito a guardare il bellissimo Arrietty e a scoprire Il primo incarico di Giorgia Cecere

Arrietty, di Hiromasa Yonebayashi (2010)
Doverosa premessa: chi scrive adora i cartoni giapponesi, adora Miyazaki e considera La città incantata il più bel cartone animato di tutti i tempi, nonché un’assoluta opera d’arte. Detto questo, si può partire: Arrietty è un cartone animato dello Studio Ghibli di Hayao Miyazaki (qui sceneggiatore), dall’esordiente dal cognome irripetibile citato nel titolo. Distribuito esclusivamente come prodotto per bambini, Arrietty non è giunto al grande pubblico come meritava. Il film è basato su un romanzo degli anni ’50 da cui sono stati già tratti dei film, il più famoso dei quali è I rubacchiotti, e narra di piccole creature che vivono all’interno di un appartamento abitato da persone normali, da cui ogni tanto “prendono in prestito” (come loro affermano) solo il necessario per sopravvivere, dalla zolletta di zucchero alle gocce d’acqua. L’arrivo di un ragazzino sconvolgerà le abitudini della mini-famiglia e soprattutto quelle della figlia Arrietty. Ancora una volta siamo di fronte a un delizioso cartone animato che piacerà ai bimbi per la sua semplicità e il suo buon ritmo, e verrà apprezzato anche dagli adulti per la grafica e la ricchezza di significati, dal dialogo tra diversi, al concetto di vivere solo col necessario. La forza di questo film, che purtroppo qui non si può ben spiegare, sta nel finale: fosse stato un film Disney, sarebbe successo quanto di più fantasioso per mandare a casa le famigliole felici, mentre qui, pur non succedendo nulla di tragico (tranquille, famigliole!), si compie un piccolo miracolo narrativo di poeticità e coerenza con tutto il racconto. Più che una recensione, quindi, queste poche righe sono un invito a guardare il film, e verificarne la sua effettiva bellezza, dal primo all’ultimo minuto.

Il primo incarico, di Giorgia Cecere (2010)
ll primo incarico è stato presentato al Festival di Venezia nel 2010, in una sezione denominata Controcampo italiano, nella quale sono inseriti i film italiani più belli della Mostra, ma che non hanno le raccomandazioni giuste per essere presentati in concorso. Primo incarico anche per la regista Giorgia Cecere, già collaboratrice di Gianni Amelio ed Edoardo Winspeare (che aveva iniziato la carriera con un film invisibile bellissimo, quale Sangue vivo), debutta nel lungometraggio con una storia di formazione, professionale e sentimentale, che vede al centro una giovane maestra pugliese di nome Nena, fidanzata con un ricco giovane di città, che riceve il suo primo incarico in un paesino sperduto e lontano. Nena si troverà di fronte, oltre che la solitudine, una realtà completamente diversa da quella a cui era abituata, e cercherà con tutte le sue forze di adattarsi. Siamo negli anni cinquanta, non c’era il precariato ma una società molto diversa, e per una giovane donna, nel meridione soprattutto, non era certo facile imporsi e avere un ruolo solido. La Cecere è brava a rappresentare questo contesto e questo contrasto, mentre la deliziosa Isabella Regonese è perfettamente calata nei panni della giovane Nena, uno dei personaggi più riusciti degli ultimi tempi, nel cinema italiano. Il film è gradevole, e pur non discostandosi particolarmente dal canone italo-minimalista-neorealista, mette ben in luce quello che, come già detto, è un racconto di formazione. Uscito in Italia in sordina, si può vedere in rassegne.

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