
Diario di viaggio nella capitale della Colombia. 8 milioni di abitanti a 2.600 metri di altitudine, “stipati” fra le montagne in un’area di 1.770 kmq, lungo un asse di quasi 30 chilometri
Avenida Caracas, conosciuta anche come Carrera 14, è una delle arterie centrali che corre da nord a sud lungo l’intera metropoli di Bogotà: la sua lunghezza sorprendente – più di 28 chilometri – non è nulla se si considera l’aggiunta del suo naturale prolungamento, l’Autopista del Norte, una superstrada che scorre ancora dentro alla città e insieme alla precedente raddoppia quasi le misure. Già solamente questa spina dorsale della capitale colombiana può rendere l’idea delle dimensioni della metropoli e del primo problema che progettisti, politici e cittadini devono affrontare quotidianamente semplicemente per viverci e spostarsi.
Fra gli altri dati statistici rilevanti per inquadrare la condizione di Bogotà è l’altitudine a 2640 metri, che ne fa la terza capitale più alta del Sudamerica, l’estensione per più di 1700 Km quadrati – più del doppio dell’intera New York – e lo sviluppo lungo un asse tendenzialmente verticale per via del blocco a est dei massicci del Monserrate e del Cerro de Guadalupe. Il problema della viabilità, fra i molti altri che affligono la capitale, è accentuato dalla quantità di abitanti – il loro numero ha superato quest’anno 8 milioni – che si distribuiscono fra 20 quartieri urbani e numerosi sobborghi.
La fine definitiva del potere dei narcotrafficanti nel 2000 e la più recente tregua fra Stato e gruppi guerriglieri delle Farc hanno permesso al passato governo di Uribe e dal 2010 a quello attuale di Santos di imbastire i primi progetti di rilancio del paese anche sul piano turistico. Nonostante le difficoltà e i progetti per affrontarle, il dato statistico più evidente è una crescita a ritmo incalzante di cittadini che si inurbano e di stranieri che ridanno vita al turismo in un paese per lungo tempo evitato. Con quasi 600.000 presenze di turisti nel corso del 2017 – che ha definito un incremento del 43% rispetto all’anno precedente – la Colombia appare sempre più una meta di soggiorno. Ma i problemi di un paese sostanzialmente povero, per lunghi decenni sotto scacco da parte della malavita e della guerra civile, sottopongono i progetti a forti balzi in avanti e indietro, con esiti del tutto alterni.
Come in molti paesi sudamericani in Colombia è assente una rete ferroviaria che possa considerarsi tale. La questione viene compensata da strutture aereoportuali e da linee di corriere moderne che coprono l’estensione del paese a partire dalla capitale. A poca distanza dal centro di Bogotà è presente un aereoporto efficiente e nella zona nord della città è situata La Terminal, la stazione più grande delle corriere, definita come la migliore di tutto il Sudamerica. Sia aereoporto che stazione permettono di spostarsi comodamente, con facilità e a prezzi contenuti per tutto il paese ma del tutto irrisolta rimane la mobilità interna alla capitale.
Nonostante le dimensioni e la chiarezza dell’impianto urbano ortogonale – suddiviso fra le orizzontali calles e le verticali carreras, numerate in modo progressivo come a Manhattan – l’ipotesi di una metropolitana non è stata neanche presa in considerazione e la viabilità è ancor oggi sostenuta per la maggior parte da automobili private e taxi. La soluzione per affrontare l’intasamento totale della città nelle ore di punta è stata studiata dal governo che nel 2000 ha inaugurato il TransMilenio, una rete di trasporto di autobus alimentati a diesel che viaggia su corsie preferenziali e si connette agli autobus normali. Denonimate con lettere dalla A alla J, le nove linee di questo autobus rosso fiamma sfrecciano letteralmente attraverso le zone principali della metropoli faticando lo stesso a sostenere la quantità di persone che le utilizzano. Oltre al quotidiano sovraffollamento rimane aperto il problema di una mobilità confusa e comunicata altrettanto male: è difficile spostarsi con destrezza fra linee normali che percorrono tratti di corsie preferenziali, linee espresso che saltano confusamente le fermate ed altre che invece fermano ad ogni stazione. Il sistema delle coincidenze fra TransMilenio e bus normali è un flop e la complessità del sistema rende la metropolitana di Tokyo un gioco da bambini. Per affrontare la questione si è provveduto a posizionare in ogni stazione del TransMilenio del personale fisso che quotidianamente presiede ad una fila impressionante di persone, anche locali, completamente disorientate. La confusione viene alimentata anche dalla varietà delle linee normali e dalle loro modalità di accesso: ci sono autobus più vecchi che accettano solo monete, altri solo ticket prepagati, quelli infine su cui vale solo il biglietto integrato del TransMilenio. Ma a chi si incaponisce sull’utilizzo dei mezzi urbani rimane da superare l’ostacolo della ricerca dei biglietti, assolutamente introvabili in tutta la città.
Dentro a questo cubo di Rubik molti bogotani e gran parte degli stranieri si sono arresi all’uso principalmente di auto private e taxi, mezzi certi per rimanere imbottigliati ma altrettanto sicuri per giungere a destinazione. Punto di merito di molte compagnie dei taxi è quello di essersi consociate all’utilizzo di una app per telefonini che sta spopolando in tutto il Sudamerica. Tappsi – questo il nome della e-hailing mobile – ha risolto il grave problema del pericolo per chi fermava un taxi per strada: connessa alla email personale che lascia memoria di tutti i dati del viaggio – orario, nome e cognome del taxista, targa del veicolo, luoghi di provenienza e destinazione – l’applicazione permette tramite un sistema di riconoscibilità e di codici di sicurezza di chiamare un veicolo, riconoscerlo e viaggiare incolumi e da soli.
Per chi invece ama utilizzare mezzi alternativi – escludendo le gambe, date le distanze enormi – la capitale colombiana è stata anzitempo promotrice di una filosofia verde: dal 1974 è in piedi il progetto Ciclovias che ogni domenica e nei festivi, dal mattino al primo pomeriggio, apre 121 km di strade principali unicamente a biciclette e mezzi simili, permettendo ad un milione di cittadini di riappropriarsi della città. L’iniziativa è ancora oggi molto amata dai bogotani che possono inoltre avvalersi tutti i giorni della settimana di una delle reti ciclabili più vasta del mondo – la Cicloruta – estesa a 392 km di piste per biciclette. Nonostante la quantità di ciclabili ponga la metropoli al primo posto nel mondo, rimangono alcune criticità irrisolte a partire dalla difficoltà di reperire noleggi e officine di riparazione, dalla mancanza di un sistema integrato col trasporto pubblico e di illuminazione sufficiente in molti tratti delle ciclovie: problemi questi su cui Enrique Peñalosa – attuale sindaco di Bogotà ed ex presidente dell’Itdp (Institute for Transportation and Development Policy) – mostra grande sensibilità e fa promessa di impegno affinché i viaggi “verdi” nella capitale passino dall’attuale 5 al 20% nel prossimo 2020.

Fra le numerose criticità della capitale non sfugge la divisione di Bogotà in due parti, specularmente opposte: il nord appartiene alla popolazione più agiata ed è la zona dei centri commerciali e delle zone residenziali, dei locali alla moda – suddivisi fra Zona G, Parque 93, Zona Rosa – e degli hotel extralusso, mentre le zone a sud sono al contrario più popolari e via via che si scende sempre più pericolose e povere. Proprio nel cuore dell’area critica sorge il centro storico della metropoli – la Candelaria – frequentato quotidianamente da migliaia di persone per via delle residenze storiche, i monumenti, i quartieri museali, gli uffici e i maggiori palazzi amministrativi e politici. Per questo quartiere rimane valido il consiglio della “Lonely Planet” di fare molta attenzione anche di giorno e di evitarne il passeggio da soli dopo il tramonto. Il problema della Candelaria sta nella sua contiguità con i quartieri più poveri, composti da una sorta di reticoli minuscoli su cui affacciano strutture storiche malmesse che si trasformano via via in bidonville all’estremo sud e nella fascia sud-ovest della città. Nonostante da alcuni anni a questa parte, il barrio di Candelaria si sia arricchito di numerosi ostelli diventando meta del turismo più giovane, ciò non toglie che passeggiando per una strada come Calle 9 si possa incappare in qualche guaio o superandone un’altra, come Carrera 1, si trapassi nei quartieri più poveri e pericolosi della città. Lo stesso può accadere in altri quartieri limitrofi poco più a nord – come Macarena – dove sorgono il Museo Nazionale e il Mambo, dedicato all’arte contemporanea, in cui il consiglio è la percorrenza di giorno, sulle strade principali, evitando di sforare in un ghetto come Perseverancia.
Con una scelta molto consapevole si è deciso di non abbandonare i quartieri più antichi e storici della città, programmando una serie di interventi che vanno dal semplice pattugliamento di alcune aree da parte della polizia a progetti inclusivi che hanno visto artisti di strada locali legati alla cultura hip-hop intervenire sui muri delle strade più malfamate per riqualificare aree come il barrio Egypto. Mantenere il paese in un circuito culturale internazionale grazie a mostre di buon livello qualitativo ha portato alla scelta di investire nei teatri e nei musei cittadini – non solo i famosissimi Museo de Oro e Botero ma anche il Mambo – ottenendo anche l’obiettivo non secondario di presidio delle aree a rischio di degrado da parte della gente comune. In questo senso va letta anche l’iniziativa domenicale di aprire gratuitamente la maggior parte dei musei al pubblico, un’iniziativa che riscuote un grande successo e causa file di ore di attesa per l’ingresso.
Rendono invece più perplessi altri interventi recenti come la riqualificazione architettonica della parte forse più antica della città, attorno alla Plazoleta del Chorro de Quevedo, che secondo alcuni storici costituirebbe il primo nucleo abitativo di Bogotà. La piccola piazza, attorniata da caffè e frequentata da studenti, artisti di strada, cantastorie e venditori ambulanti, ha mantenuto nella struttura originaria un indubbio fascino nonostanti i segni del tempo. Il recupero dell’area – costato l’equivalente di 170.000 euro – ha coinvolto illuminazione, segnaletica, piantumazione ma anche la riattualizzazione del luogo. Supportato dall’Istituto del Patrimonio Culturale, il progetto è per certi aspetti a dir poco sconcertante. Non parliamo solo degli arredi minori – panchine e sedute – che stonano in modo sensibile con lo stile degli edifici ma soprattutto di una struttura sorta a metà degli anni ’80 su uno dei lati della piazzetta, composta da una serie di porte architravate di colore rosso in funzione di corridoio.
Lasciata la domanda sui motivi di uno spazio percorribile che separa una piazza dagli edifici che vi si affacciano, pur lodando la buona volontà per affrontare l’obiettivo della riqualificazione ci si chiede se un intervento a tutela del passato valga sempre e per ogni cosa, anche per l’orribile e l’inutile.