
Michelangelo Antonioni come i giardinieri della Regina di cuori in Alice’s Adventures in Wonderland di Lewis Carroll.
Il grande regista ferrarese decide – durante le riprese di Deserto rosso, nell’inverno del 1963-1964 – che il bosco di pini dev’essere bianco, per fare da sfondo ideale a ciò che lui vuole mostrare attraverso l’occhio della telecamera: «[…] quel verde andava eliminato se volevo che il paesaggio acquistasse una sua originale bellezza, fatta di grigi aridi, di neri imponenti, e semmai di pallide macchie rosa e gialle, tubi o cartelli lontani».1
Il paesaggio di Ravenna, in quegli anni, si sta trasformando: cosa di più “innaturale” di un sopravvissuto gruppo di conifere in mezzo a uno scenario industriale che tutto sembra travolgere? “Naturale” è che sparisca, «per lasciar posto a uno spazio nuovo da riempire con altre sagome, altri volumi, altri colori».2 I “veri” alberi sono le ciminiere, come quella «esilissima» che «tagliava orizzontalmente la fabbrica per poi salire a un’altezza prodigiosa, elegante e potente nella sua asciuttezza, più di qualsiasi albero».3 Nessun rimpianto per il “buon tempo andato”. Assoluto disincanto, quello di Antonioni.
Ed ecco che nel buio della notte, alla luce dei proiettori, una scena surreale si svolge sotto l’inflessibile regia di Antonioni: uno stuolo di esseri umani al lavoro, al freddo, coperti di vernice bianca dalla testa ai piedi. Il bianco “si addice” alla Ravenna di Antonioni, come il lutto a Elettra. Perché, quel bianco, «in technicolor sarebbe risultato grigio, come il cielo di quei giorni o come la nebbia o come il cemento».4
Antonioni è però preoccupato: per la possibile brina che laverebbe la tinta e per il sole che, spuntando dietro il bosco, lo farebbe apparire, in controluce, scuro. La fabbrica, del resto, ne è certo, «prima o poi finirà per rendere gli alberi oggetti antiquati, come i cavalli».5
Ma nemmeno il potere dispiegato della Tecnica può far nulla contro il «bel sole»6 che spunta il giorno dopo.
Sono sempre incerte le previsioni del tempo.