Il procuratore: «Le indagini sulla corruzione trovano grande omertà a Ravenna»

Nell’ufficio guidato da Mancini un pool di pm dedicato ai reati contro la pubblica amministrazione: «Il nostro territorio non è immune, chi dice il contrario mi lascia perplesso. E c’è poco da fare come prevenzione»

RAVENNA 12/01/2018. CONFERENZA STAMPA IN PROCURA PER L’ ARRESTO DI 2 FUNZIONARI DI HERA.

Da sinistra il colonnello Andrea Fiducia della guardia di finanza, il procuratore capo Alessandro Mancini e il sostituto procuratore Monica Gargiulo

«Mi pare che da tempo non manchino campagne e iniziative da più parti per sensibilizzare sulla questione dei reati contro la pubblica amministrazione ma i fatti dimostrano che i casi di corruzione, in senso generico del termine, continuano a verificarsi. Purtroppo si può fare poco per la prevenzione». Il procuratore capo di Ravenna, Alessandro Mancini, mette in fila alcune riflessioni su una materia delicata che riguarda la condotta di chi riveste ruoli pubblici e maneggia il bene pubblico. «Per mettere un argine servirebbe una coscienza civica che faccia capire che rubare allo Stato significa rubare a noi stessi. Chi rappresenta lo Stato e va contro la legge è come se mettesse in atto una specie di alienazione con cui ruba a stesso».

Se prevenire è difficile, non resta che reprimere. E il compito spetta agli inquirenti: «Questi reati verranno sempre trattati in via prioritaria, lo prevede il codice di procedura e lo condividiamo pienamente in questo ufficio. Anche perché lo richiede il ruolo stesso degli indagati: devono avere prima possibile una posizione chiara per sapere se tornare al loro lavoro o meno». La procura ravennate ha scelto di istituire un gruppo di lavoro dedicato, tra gli otto sostituti procuratori: «Parliamo di una materia complessa che richiede competenze specifiche. L’analisi delle vicende può fare una grossa differenza. Quando si tratta di stabilire se siamo di fronte a corruzione o concussione vuol dire che una persona può passare da co-indagato a parte offesa. E indagare non è facile dovendo fare i conti con molta omertà o con la paura di ritorsioni che porta qualcuno a esporsi solo in maniera anonima».

Il caso dei due dipendenti di Hera è dei giorni scorsi ma non mancano precedenti recenti, tra indagini e processi. C’è un ambiente che si sta contaminando? «Non spettano a me queste valutazioni. Ma i fatti dicono che anche il nostro territorio non è immune a questi fenomeni, quando sento qualcuno che dice il contrario resto sempre un po’ perplesso». Allo stesso modo destano le perplessità di Mancini quelli che chiama clichè da mandare al macero: «Smettiamola con il ritornello del dipendente pubblico poco pagato e costretto a infrangere la legge. Le ultime indagini hanno coinvolto persone che avevano stipendi elevati. E anzi è proprio da queste persone che rivestono un ruolo pubblico in una situazione economica particolare che verrebbe da aspettarsi tutt’altro atteggiamento». L’atteggiamento che in linea di principio Mancini vuole vedere nei corridoi della sua procura: «Nel pubblico c’è troppo spesso la tendenza a prestare poca attenzione alla spesa perché tanto paga Pantalone. In procura cerchiamo di tenere lo stesso approccio che dovrebbe avere il privato, usando le poche risorse a disposizione come se dovessimo togliercela dalle nostre tasche».

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