Cagnoni non è in aula, il pm per 5 ore mette in fila le accuse verso l’ergastolo

Ventiseiesima udienza / Nel giorno della requisitoria del sostituto procuratore Cristina D’Aniello l’imputato per uxoricidio sceglie di non presentarsi davanti alla corte d’assise per la prima volta in nove mesi

Non è stato un processo per dimostrare a tutti i costi che Matteo Cagnoni è il colpevole dell’omicidio di sua moglie ma è stato un processo per dare giustizia a Giulia Ballestri. Sottile ma significativa la precisazione che fa da incipit alla requisitoria del pubblico ministero: il sostituto procuratore Cristina D’Aniello per cinque ore e mezza spalmate nell’intera giornata odierna, 12 giugno, ha messo in fila quanto emerso nelle venticinque udienze celebrate negli ultimi nove mesi per poter dire che «gli elementi tecnico-scientifici urlano elementi probatori nei confronti dell’imputato Matteo Cagnoni». La richiesta della pena non potrà che essere l’ergastolo – visto che la procura contesta al dermatologo 53enne l’accusa di omicidio pluriaggravato da crudeltà e premeditazione – ma occorrerà attendere la prossima udienza fissata per il 14 giugno quando il pm arriverà a conclusione con una previsione di almeno altre due ore di intervento.

In aula non c’era Cagnoni, assente per la prima volta dall’inizio del processo. Un’assenza che nemmeno il suo legale, l’avvocato Giovanni Trombini, sa motivare: «L’ho appreso stamani quando non l’ho visto arrivare dal carcere. L’ho visto l’ultima volta la settimana scorsa e non mi aveva preannunciato nulla. Posso solo ipotizzare che si tratti di questioni di salute». Il medico non ha mai vissuto con serenità le udienze e ha sempre ritenuto ostile il clima in aula e qualcuno arriva a ipotizzare una scelta morettiana improntata sulla possibilità che si sarebbe notata di più l’assenza che la presenza. Il legale bolonese esclude che sia una strategia difensiva concordata per strappare la scena nel giorno del pm: «Sono per la linea Andreotti, quella di esserci sempre. Figuratevi se potrei mai consigliare di mancare oggi…».

Per la stoccata finale l’accusa mette sul banco a favore della corte gli indizi della presunta colpevolezza: il bastone con cui sarebbe cominciata l’aggressione (già visto in aula), le scarpe del padre dell’imputato che quest’ultimo avrebbe usato sulla scena del crimine e i cuscini delle poltroncine mancanti dalla villa del delitto e ritrovati nella villa dei genitori a Firenze. Si parte da una premessa chiara: non saranno mostrate le immagini del cadavere e della «mattanza» che già furono proiettate in aula, come gesto di rispetto nei confronti della vittima. E della memoria della 39enne si cura particolarmente il pm sottolineando come invece l’imputato troppo spesso l’abbia offesa nel corso del suo esame ma anche come solo una delle persone vicino a Cagnoni abbia mostrato segni di pietas nei confronti della donna. Ed è in questo frangente che tra le fila del pubblico più vicino ai movimenti femministi qualcuno sussurra che ci vorrebbe un applauso. Le uniche immagini proiettate sono quelle in cui Giulia è ancora viva, le ultime in cui la si vede distintamente al bar a fare colazione: scorrono sul maxi schermo quasi come se fosse un modo per portare Giulia in aula nel momento cruciale. Del resto è il pm che definisce la vittima «un teste speciale»: i messaggi Whatsapp e le chat Instagram fino alla sera prima della morte dicono

Il lungo intervento del pm D’Aniello è andato ad annodare i fili degli indizi emersi durante le audizioni dei 109 testimoni con attenzione alla premeditazione, una delle due aggravanti contestate e che se riconosciute significherebbero ergastolo e non trent’anni. Primo elemento per la premeditazione: di solito il venerdì Cagnoni faceva ambulatorio in una clinica privata a Bologna ma due giorni prima del 16 settembre 2016, giorno del delitto, il dermatologo chiama per annullare la sua presenza parlando genericamente di motivi famigliari. Secondo elemento: Cagnoni sa che nel weekend del 17-8 settembre l’unica vicina di casa di via Genocchi sarà fuori Ravenna. Terzo elemento: la motivazione per andare con la coniuge nella villa disabitata è quella di scattare foto ad alcuni quadri là custoditi per una futura vendita ma Giulia era ignara che quella foto era già stata scattata dall’uomo dieci giorni prima e inviata al mercante. Quarto elemento: il 15 settembre un Chrysler Voyager compatibile con quello in uso alla famiglia Cagnoni si ferma per sette minuti davanti alla villa del delitto, secondo l’accusa è un tempo sufficiente per scaricare l’arma del delitto (il bastone), la tanica di acqua distillata con cui operare un maldestro tentativo di ripulitura e una borsa con un cambio di abiti.

La presunta arma del delitto

Dalle 9.50 di stamani fino alle 18 il magistrato titolare delle indagini ha preso per mano la corte (presidente Corrado Schiaretti, a latere Andrea Galanti, sei popolari) per accompagnarli dentro quella che chiama «mattanza». Soprattutto per mettere in luce quelle che a suo giudizio sarebbero contraddizioni di Cagnoni, o quanto meno comportamenti e dichiarazioni del tutto slegate dalla logica. Ad esempio perché la notte tra il 18 e il 19 settembre, prima che la polizia trovi il cadavere (alle 0.30), il medico parla di «tragedia» e di «grosso guaio» nei messaggi che invia a un’amica e alla segretaria per comunicare loro che annullino gli impegni del giorno seguente? «Lo fa perché vuole indossare la maschera del vedovo inconsolabile». E perché mai un omicida estemporaneo che abbia agito al termine di una rapina, come sostiene la difesa, si sarebbe preso il disturbo di trascinare il cadavere in cantina lontano dalla vista, pulire la casa e portare via i vestiti della donna e i materiali usati per la pulizia? «Solo qualcuno collegato a quella donna e a quella casa avrebbe avuto motivo per farlo».

 

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