Dalla A di Autocertificazione alla Z di Zen: il lessico psicologico della quarantena

 

Gianluca Farfaneti, ravennate, classe 1967, è psicologo e lavora da anni a Cesena per l’Ausl Romagna nei servizi pubblici che si occupano di tossicodipenza. Gli abbiamo chiesto un intervento sull’impatto del Covid-19 sulla psicologia. E lui ci ha regalato questo bellissimo dizionario.

GIANLUCA FARFANETI

Gianluca Farfaneti

Autocertificazione. Il lasciapassare diventato essenziale per gli spostamenti. Piano piano è diventato un aspetto del nostro io quarantenico. Stretto tra il Super io delle regole e l’Es delle pulsioni allo sport e alla passeggiata, questo modulo è stato mediatore e conciliatore di queste istanze. Sfornato in diversi modelli, e versioni, ha fatto usare più toner e carta che 1000 tesi di laurea. Nel classico stile italiano realizzato in modo burocratese e ovviamente non digitale. Probabilmente qualcuno lo incornicerà.

Bambini. I veri rinchiusi di questa quarantena. Tutti potevano alla fine uscire in qualche modo fuorché loro. Campagna di stampa e appelli per segnalare la loro situazione più dai genitori che da loro, sono stati veri protagonisti negli schermi dello smart-working, hanno gestito forse meglio di tutti (insieme agli adolescenti) questa esperienza tra cartoni, giochi di una volta, play e videochiamate con i nonni.

Balconi. La terra di mezzo fra le mura di casa e il mondo fuori, il balcone si è presentato come la punta più estrema della nostra isola dove poter osservare le navi passare e quindi vedere la vita fuori da casa ma allo stesso tempo farci vedere, notare, dire che siamo vivi. È diventato così palco per cantare, suonare e via a via trasformato in pista per correre, stabilimento balneare o podere da coltivare.

Casa. Il #restateacasa è stato un mantra ripetuto e apparso in ogni dove. La casa è diventato riparo terapia, rifugio, gabbia, factory di idee e iniziative ma anche obbligo, limite. Ogni angolo e ogni stanza è stata vissuta, dalle cantine ai solai. Turni, disposizione, organizzazione domestica ci hanno trasformato tutti in maestri dell’ordine impeccabili. “Io sono a casa ergo sum” potremmo dire parafrasando Cartesio. Esisto, ho certezze, sono perché sono in casa. Uscire innesca ansia, dubbi, incertezze, spiegazioni da dare.

Distanza sociale. Il nuovo modo di stare insieme. Il nuovo modello relazionale, salutarsi, parlarsi, rigorosamente a un metro, ma chi dice anche 2 o 4. Sospesi (per ora) abbracci, baci, appoggi, tutto una serie di comportamenti di vicinanza emotiva che ci hanno caratterizzato e abituato da sempre. Per alcuni sofferenza, per altri salvezza.

Eroe. Quando c’è timore e sconcerto le persone hanno bisogno di eroi. In questa emergenza i medici e gli infermieri hanno assunto simbolicamente questo ruolo. I loro turni, le loro fatiche, i loro volti sono stati, in un certo senso, il registro paterno e materno che ci ha rassicurato e fatto comprendere la responsabilità che avevamo verso loro e la nostra comunità.

Fiducia. Un trauma come l’epidemia può minare la fiducia, metterla in crisi. Può portarci a essere diffidenti sulle vicinanze e sui contatti. Avremo perciò bisogno di avere fiducia e di sostenerla, avremo bisogno di essere rassicurati e trovare un modo di essere rassicurati nel momento in cui torneremo ad uscire, a riprendere le attività sociali e lavorative. Se sapremmo farlo in modo efficace, probabile che staremo meglio con noi e con gli altri.

Guerra. Metafora utilizzata quotidianamente (vedi eroe) per rappresentare la pandemia e i suoi effetti soprattutto sul sistema sanitario ed economico. Parola che ha suscitato polemiche nel suo uso, secondo molti non adeguato al contesto. Il mito della guerra è però sempre esistito proprio per descrivere coraggio, eroismo e lotta contro un nemico. Qui un nemico invisibile e abbastanza subdolo. L’importante è non restare unicamente in quel racconto ma bensì leggere anche il racconto dietro le quinte delle cause e delle storie sin- gole.

Hobby. Chi ne aveva ha certamente avuto un vantaggio.

Instagram. Mai cosi vuoto di viaggi, foto di gruppi e comitive, di locali e aperitivi, concerti, sport. Il social più famoso si è riempito allora di case e stanze, spazi chiusi, strade deserte e soprattutto… cibo.

Lezioni a distanza. Le case si sono trasformate in aule con pc, tablet, telefoni impegnati in lezioni di geometria, fisica e antologia, ma anche attività didattiche per i più piccoli e al pomeriggio trainer per fitness e maestri di yoga. Il video è diventato un grande banco di scuola, una grande lavagna dove abbiamo potuto continuare l’apprendimento e quindi esistere. Siamo inoltre diventati un po’ più smart e tecnologici. Che non è un male.

Mascherine. La psicoanalisi ci ha insegnato che abbiamo sempre bisogno di maschere per interagire con il contesto. Adesso abbiamo capito perché.

Netflix. Vero oggetto transizionale di questa crisi, il nostro orsacchiotto, il nostro peluche o coperta che fornisce supporto e conforto per tutto ciò che manca.

Opinioni. Le vere star nei media tv, social, giornali. Da una parte la scienza (che per la verità certa non è mai stata) dall’altra le opinioni di giornalisti, filosofi, blogger e ovviamente politici. Ognuno ha potuto dire la sua, formarsene una e, soprattutto e per fortuna, cambiarla nel corso del tempo.

Picco. tutti lo abbiamo aspettato per giorni, ma alla fine non si è mai visto e si è trasformato in plateau o curva discendente o rallentamento. Negandoci un qualcosa di visivo, netto, marcato che dimostrasse il calo o la decrescita. Provocando se possibile ancora più smarrimento e sconforto. Ma forse questa mancanza del picco ci dice semplicemente che se esiste il paziente zero che ci ha indicato l’inizio, più difficilmente esiste un paziente ultimo o finale e che dobbiamo imparare a convivere con questo virus nei prossimi mesi.

Quarantena. Una dimensione mai conosciuta prima che ha caratterizzato la nostra vita in questo periodo. Ci ha cambiato? Ci cambierà? Come viverla? Decine di articoli su questo tema, chi non ha previsto nulla del prima, tenta ora farlo per il dopo. Ma resta difficile prevederlo. È come un lungo ricovero. Sarà importante la riabilitazione

Runners. Per settimane untori predestinati del trauma collettivo dell’isolamento. La paura ha bisogno di essere canalizzata e allora ecco che il runners o chi fa la passeggiata è diventato proiezione di tutte le nostre
frustrazioni e rabbie. Da una parte una difficoltà ad accettare un limite con giustificazioni “egoiste” dall’altra l’ossessione del controllo e della delazione. Menzione particolare però, a quelli hanno fatto decine e decine di km sui balconi o nel giardino di casa.

Spesa. Le foto delle file davanti ai market hanno fatto epoca. E hanno trasmesso un concetto forse dimenticato. La lentezza nel fare le cose, l’essenzialità, il non comprare prodotti inutili o comunque non urgenti, il programmare e organizzare e cosa acquistare, insomma riscoprire il valore delle cose semplici (pensiamo a quanta farina e uova) ma non per questo meno importanti. E poi, forse, abbiamo riscoperto e considerato con luce diversa, il lavoro delle cassiere.

Tampone/Tes. Uno al giorno forse toglieva molti medici di torno.

Umore. Variabile e di molto in questa quarantena. Si è passati dall’ironia, alla gioia per la riscoperta del privato, ma anche alla frustrazione alla rabbia, alla tristezza per la situazione lavorativa ed economica, al dolore per la perdita dei cari. A conferma di ciò, l’aumento di vendita di antidepressivi e ansiolitici in queste settimane.

Vecchi. La generazione perduta. I più fragili e più colpiti. Abbiamo guardato ai nostri anziani, i nostri nonni e genitori con altri occhi. Con timore, con ansia, con protezione, con attenzione. Gli abbiamo insegnato le videochiamate per parlare con i nipoti. Loro malgrado si sono ripresi una scena e un ruolo che spesso la nostra società, a differenza del passato, tende a togliere, se non come categoria assistita. Ma il dramma delle case di riposo ci dice , tragicamente, che c’è bisogno di rimetterli al centro di azioni di protagonismo e di condivisone.

Zen. Assolutamente consigliato.

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