Quando scendono dalla nave, tutti hanno una mascherina chirurgica sul viso, ai piedi solo calzini e portano poche cose personali in un sacco di plastica. Le operazioni di sbarco, al molo del terminal crociere di Porto Corsini, sono iniziate attorno alle 13 del 31 dicembre: dopo la passerella in discesa percorsa con passo incerto, un paio di infradito e un braccialetto con un numero sono stati il primo contatto con il suolo italiano per i 113 migranti recuperati quattro giorni fa dalla Ocean Viking della ong Sos Mediterranee e portati a Ravenna (facendo circa 1.700 km) come disposto dal governo Meloni.
Le informazioni fornite dalla ong dicono che a bordo c’erano 83 maschi e 30 femmine, 46 sono minorenni (35 dei quali non accompagnati) e il resto under 50. Dieci diverse nazionalità: un terzo sono ivoriani, i restanti provengono da Nigeria, Camerun, Guinea Conakry, Mali, Benin, Gambia, Pakistan, Ghana, Senegal.
Una volta ormeggiata la nave battente bandiere norvegese, salpata da Barcellona il 21 dicembre, a bordo sono saliti cinque medici (Usmaf, 118 e Cri) per una prima verifica delle condizioni dei migranti, partendo dalle informazioni ricevute quotidianamente dall’equipaggio che riferiva di una situazione senza criticità urgenti. In cima alla lista ci sono: una ventina di casi di scabbia, una persona con bisogni di assistenza psichiatrica, un bambino nato da 16 giorni da una ragazza minorenne (entrambi sono stati ricoverati, ma solo per la tenera età del piccolo, in buone condizioni di salute), una donna incinta di otto mesi. Quasi tutti presentano il quadro di ferite e traumi che si portano addosso tanti dei migranti in fuga sulle rotte del Mediterraneo. Ad aver bisogno di ulteriori controlli medici, in particolare, tre donne e un uomo, presumibilmente per le violenze subite.
In quattro giorni la stazione marittima, che abitualmente gestisce flussi di turisti in crociera fino a duemila persone per volta, sotto il coordinamento della prefettura è diventata un centro di prima accoglienza – riscaldato con impianti provvisori per rendere più gradevole la temperatura in una tensostruttura che viene utilizzata solo in estate – con circa trecento persone al lavoro tra personale sanitario, funzionari della questura e della prefettura per le pratiche amministrative, interpreti e mediatori culturali, volontari per fornitura di pasti, vigili del fuoco e forze dell’ordine per garantire la sicurezza. Due tende del 118 per eventuali casi gravi, tre ambulatori di visita normale e due aree di attesa separate, una per i casi Covid e una per quelli non Covid. Aree per il supporto sociale, operatori e clown della Croce Rossa per i tanti minori in arrivo.
Sulla banchina del terminal c’erano tutte le autorità locali. Il prefetto Castrese De Rosa ha ringraziato il cuore di Ravenna e dei ravennati per aver risposto in così pochi giorni a una richiesta così impegnativa. Il sindaco Michele de Pascale ha espresso la propria soddisfazione nel riuscire a essere la meta per chi ha vissuto un viaggio così traumatico, ma ha anche ribadito che da gennaio andrà chiarita qual è la linea del governo per la distribuzione delle navi sulle coste italiane. L’assessore regionale al Welfare, Igor Taruffi, invita chi parla di porti chiusi a venire a vedere da vicino le persone scese dalla Ocean Viking: «La scelta di mandare a Ravenna una nave che era nel Mediterraneo, e quindi costringerla a tanti giorni di navigazione in più per raggiungere questo porto, vuol dire di fatto tenerla distante da dove c’è bisogno, e impedirle di salvare altre vite. Una decisione che per noi non è condivisibile».