I La Crus saranno in scena, per l’unica data in Romagna e a ingresso libero, mercoledì 17 luglio alle 21.45 al Peter Pan di Marina di Ravenna, ed è questa l’occasione per rivolgere qualche domanda a Cesare Malfatti, tra i fondatori della storica band milanese tornata di recente sulle scene dopo la reunion. L’ultimo album, uscito a marzo scorso, Proteggimi da ciò che voglio, è stato accolto con entusiasmo da pubblico e critica.
Dopo tanti anni di inattività vediamo un ritorno, da dove è scaturita questa nuova scintilla, cosa porta il nuovo album?
«L’idea di un ritorno è arrivata durante un concerto nel 2019 in cui ci siamo ritrovati con una forte vena creativa, tanto da buttare le basi per un disco di inediti nel 2020. Per un anno e mezzo i lavori però stagnano, ma con l’intervento dell’etichetta Mescal e del produttore Matteo Cantaluppi ecco che alla fine concretizziamo, con otto brani mai usciti, il nuovo disco. Inoltre ritroviamo Alessandro Cremonesi, che fin dagli esordi aveva partecipato alla vita dei La Crus con testi e arrangiamenti, e nuovi elementi che rendono possibile un ritorno al palco e al disco».
Perché avete sentito il bisogno di tornare, cosa volevate raccontare?
«Ci siamo resi conto che a eventi e spettacoli avevamo sempre molto pubblico e abbiamo capito che potevamo permetterci un ritorno. Il disco Proteggimi da ciò che voglio ha nuovi temi, storie fresche, tratta del nuovo mondo con cui interagiamo, social e non».
Che rapporto avete, appunto, con il nuovo mondo, con Spotify, la morte del cd e il nuovo modo di fare musica?
«Noi nasciamo nei primi anni ’90 e conosciamo la fama a cavallo del 2000; nel 1995 e nel 2001 riceviamo due premi Tenco, tutto senza internet o streaming, i numeri li si faceva nei concerti o vendendo dischi. Ora ci troviamo in una dimensione altra rispetto a quel mondo, lo capiamo, ne riconosciamo l’importanza ma non è nostro».
Chi è oggi il vostro pubblico, a chi vi rivolgete?
«Ritroviamo molti fan della prima ora che oggi hanno avuto figli che a loro volta ci trovano interessanti, ma non posso dire di vedere molti fan ex-novo, siamo ancora sulla scia di ciò che si è fatto in passato».
La vostra storia musicale è costellata di featuring, che nell’ultimo album arrivano fino al filosofo sloveno neohegeliano Slavoj Žižek, da dove nasce questa idea di musica?
«È una vena collaborativa che abbiamo sempre avuto, frutto soprattutto di Mauro Ermanno Giovanardi (Joe, l’altro fondatore dei La Crus, ndr), che ha sempre voluto unire le forze con altri artisti e ha creduto nel potere del featuring, da Vinicio Capossela a Carmen Consoli, da Colapesce e Dimartino a Žižek appunto, anche se quest’ultima in realtà è stata un’idea di Alessandro Cremonesi, che nutre un grande interesse nelle tematiche del brano in cui Zizek appare, ovvero La rivoluzione, e ha voluto, con il suo permesso, campionare un estratto di un suo video».
Chi sono i La Crus, come si presenterebbe a un nuovo fan?
«I La Crus sono un gruppo che vive di contrasti, tra ricerca musicale e testi di cantautorato, tra tradizione e particolarità, che propone musica sulla base di uno studio melodico e un’analisi dei testi».