Sull’origine dolosa non ci sono mai stati dubbi, ma nessun colpevole è stato individuato per l’incendio alla pineta Ramazzotti a Lido di Dante. Era il 19 luglio 2012 quando in poche ore andarono distrutti circa 60-65 ettari (pari a una settantina di campi da calcio) di bosco in una zona di riserva naturale protetta. Solamente nel 2019 le autorità riaprirono l’area al pubblico, ma con accessi molto più limitati.
Una volta domate le fiamme partì subito l’azione delle autorità per aiutare la natura a riparare la ferita. Dal reparto per la biodiversità dei carabinieri forestali di Punta Marina ci spiegano che per prima cosa vennero abbattuti e rimossi gli scheletri degli alberi bruciati, ma rimasti in piedi, perché sarebbero caduti da soli costituendo quindi un pericolo per le persone, ma avrebbero anche causato danni alle giovani piante sottostanti. Il pino marittimo non ha bisogno di particolare aiuto dell’uomo per ricrescere: il rilascio dei semi dalle pigne, se mature al momento dell’incendio (decine e a volte anche centinaia di migliaia di semi per ettaro), consente di ricolonizzare l’area percorsa dal fuoco.
Vennero invece seminate migliaia di piante di latifoglie e con la ceduazione, cioè la recisione dei fusti degli alberi nei boschi cedui, si è cercato di favorire il cosiddetto ricaccio, cioè il germoglio di piante e arbusti che, dopo la perdita (o il taglio) dell’asse vegetativo primario, si sviluppa dalla ceppaia. Questa capacità di rigenerazione è propria di molti arbusti, ma anche di specie di latifoglie come il leccio. Sono stati creati anche degli invasi che non erano presenti per avere zone umide a favore del ritorno di alcune specie animali.
La pineta si sta riprendendo rapidamente e, in linea teorica, basterebbe lasciare scorrere il tempo per ritornare allo stesso scenario pre incendio. La realtà dei fatti dice che c’è un’altra minaccia: non il fuoco, ma l’acqua. E cioè l’erosione marina della costa. La duna costiera si è ridotta molto rispetto a come si presentava nel 2012. Oggi rimane quasi solo l’argine su cui corre la strada una volta retrodunale. Si sta tentando di ostacolare l’erosione con la realizzazione di difese avanzate, ma è inevitabile immaginare che l’ambiente attuale verrà sostituito da un altro scenario.