L’operazione, realizzata a cuore battente e senza incisioni, è stata perfezionata nell’ambito dello studio europeo multicentrico Amend, che coinvolgerà 20 pazienti a rischio nei prossimi tre anni
Alla clinica Maria Cecilia Hospital di Cotignola è stato eseguito il primo intervento in Italia (secondo in Europa) di anuloplastica percutanea della valvola mitrale. Si tratta di un intervento cardiochirurgico perfezionato nell’ambito dello studio europeo multicentrico Amend, che coinvolge diverse cliniche internazionali con l’obiettivo di valutare la sicurezza e la funzionalità di un innovativo device a forma di “D” che consente di eseguire operazioni a cuore battente e senza bisogno di incisioni ottenendo risultati simili agli interventi tradizionali per l’inserimento di dispositivi per la correzione del rigurgito mitralico, per cui si procede con una chirurgia a cuore aperto.
Il paziente, un uomo di 81 anni con un alto rischio per la cardiochirurgia tradizionale, era affetto da una severa insufficienza funzionale della valvola mitrale. Per correggerla senza esporlo ai rischi della chirurgia, dopo un’attenta valutazione delle strutture anatomiche e dei diametri cardiaci mediante esami diagnostici di terzo livello (angio-TC sincronizzata, ecocardiogramma transesofageo), il paziente è stato arruolato per l’intervento di riparazione percutanea della valvola mitrale.
Interventi come questo sono una vera e propria innovazione nel campo della chirurgia mitralica ultra mininvasiva, eseguita tramite cateterismo trans-settale (ovvero attraverso puntura del setto interatriale e successivo avanzamento dalla vena femorale dei dispositivi necessari alla riparazione della valvola). Oltre alla diminuzione del rischio chirurgico, questa pratica porta anche a una significativa riduzione dei tempi di intervento.
«L’insufficienza mitralica può essere causata da una dilatazione dell’anello della valvola mitralica, che diventa incontinente, soprattutto in presenza di condizioni predisponenti come la fibrillazione atriale. La chirurgia tradizionale interviene introducendo un anello chirurgico che, posizionato sull’anello nativo, ne riduce le dimensioni correggendo così il rigurgito mitralico – spiega Fausto Castriota, dottore e coordinatore dell’U.O. di Emodinamica e Cardiologia Interventistica del MariaCecilia -. Tale intervento richiede, tuttavia, che il paziente sia sottoposto a circolazione extracorporea. L’équipe di Maria Cecilia Hospital con questo innovativo intervento ha mimato lo stesso gesto chirurgico ma per via percutanea, senza necessità di aprire il torace e senza ricorso alla circolazione extracorporea: il device è stato inserito con procedura transcatetere per via trans-settale e veicolato sino a raggiungere la cavità atriale sinistra dove, sotto guida fluoroscopica, ha raggiunto la sua configurazione definitiva ed è stato quindi posizionato, sotto guida ecocardiografica transesofagea, sull’anello anatomico danneggiato. Si è infine proceduto ad ancorare il dispositivo al tessuto miocardico in modo da ridurre significativamente le dimensioni antero-posteriori della valvola e migliorarne così il grado di insufficienza».
La buona riuscita della procedura richiede un’attenta valutazione delle caratteristiche anatomiche della valvola mitralica e del cuore, per accertarsi che siano compatibili con ognuno dei molteplici step procedurali da eseguire. In fase intraoperatoria sono indispensabili grande precisione e interazione sinergica tra tutti gli specialisti coinvolti.
Il team di cardiologi interventisti e cardiochirurghi dell’Unità di Cardiochirurgia Transcatetere dell’ospedale, guidato dottore Fausto Castriota e dal professore Carlo Savini, ha affrontato un iter di training e di valutazione del paziente lungo e complesso, che ha coinvolto anche ecografisti e cardioanestesisti, per arrivare a essere il primo Centro a eseguire in Italia questo genere di procedura. Lo studio, avrà una durata complessiva di 3 anni e arruolerà a livello europeo 20 pazienti che saranno seguiti per un periodo di 12 mesi.
«Il potenziale di questa procedura è enorme – spiega Castriota – a partire dal ridotto impatto sul paziente, che dopo l’intervento è tornato nella sua camera, senza bisogno di terapia intensiva, e dopo soli 4 giorni è stato dimesso ed è tornato a casa. Questi risultati aprono a un orizzonte in cui il paziente con insufficienza mitralica potrà usufruire di numerosi approcci terapeutici ultra mininvasivi e a una personalizzazione estrema del trattamento».