Nell’ambito del festival “Prospettiva Dante”, sarà a Ravenna anche Edoardo Prati, il ventenne riminese balzato agli onori delle cronache come sorta di influencer di letteratura classica, con milioni di visualizzazioni su TikTok e quasi 600mila follower su Instagram.
A Prati verrà assegnato per la prima volta il Premio Dante Web, un riconoscimento per chi contribuisce a far “viaggiare” il Poeta anche attraverso la rete, giovedì 12 settembre dalle 21.30 al mercato coperto di Ravenna. In autunno sarà invece impegnato nel suo primo spettacolo, Cantami d’amore, un itinerario letterario e musicale da Lucrezio a Battiato – “nella convinzione che l’amore sia la cosa più politica e meno fascista che esista”.
Edoardo, che effetto fa essere premiato in un festival dantesco? Cosa rappresenta per te Dante?
«Sono onorato di essere premiato proprio a Ravenna, il mio ego non può che giovarne… Dante è la mia vita, la mia passione, i miei studi, il mio lavoro: è totalizzante – Dante così come tanti altri autori – e anche ingombrante, in senso positivo. In passato è stato per me anche un catalizzatore amoroso, grazie alle sue parole nella Vita nova sono riuscito a dare un senso a quello che stavo provando».
Quanto credi sia attuale l’opera di Dante?
«Non so se mi piace fare discorsi sull’attualità delle opere. C’è un bellissimo saggio di Alessandro Giammei, Gioventù degli antenati, che affronta il tema. Non sappiamo quanto sia attuale Dante o quanto siamo noi a essere ancora un po’ nel Trecento. Dante in fondo è rappresentante dell’umano ed è interessante notare come l’umano si ripeta e come sia un po’ sempre uguale a se stesso. Questo ci deresponsabilizza un po’ dal dover essere originali a tutti i costi, che oggi è un tema diventato quasi asfissiante. Dante ti dimostra che essere originale non è così importante. Che se ti tremano i polsi nel 2024 mentre ti innamori è come se ti tremassero nel 1300».
Come sarà il tuo primo spettacolo? Vorresti continuare a fare teatro?
«Non posso che dire che sarà bello. Per me, almeno, è molto bello. E sì, spero sia il primo di una serie: diciamo che il teatro risponde a un’idea che mi è sempre appartenuta, quella di essere totalmente a servizio degli autori e dei testi. Mettermi a servizio della carta stampata per me è bellissimo ed è un modo pratico per “agire” le cose che studio e che amo. Il teatro è proprio una parte di me».
Ma cosa vorresti fare “da grande”?
«Bella domanda. Quello che faccio adesso, probabilmente, anche se mi risulta complesso dare una definizione. La mia è figura relativamente nuova. Non posso definirmi un divulgatore perché non ne ho i titoli, ma non si può neanche minimizzare quello che faccio. Credo che la definizione migliore sia “umanista”, una persona che legge libri, parla di libri, studia libri. Anzi, credo non serva proprio una definizione in più: cosa voglio fare da grande? L’umanista».
Rappresenti comunque una “mosca bianca”, un influencer che parla in latino su TikTok…
«Forse sì, ma non per merito mio e nemmeno per demerito di altri. Solo perché vado in maniera più evidente contro quello che ci si aspetta dalla mia generazione. Ho la faccia di bronzo che mi permette di aprire il telefono e fare quello che faccio. Ci sono tanti che non hanno il mio modo, ma che sono della stessa pasta. Sono visto come una mosca bianca perché è più facile pensare che io sia un fenomeno o chissà quale genio piuttosto che rendersi conto che ci si è sbagliati nei confronti di una intera generazione. Non mi fa piacere essere visto così, credo sia frutto di una discriminazione anagrafica pesantissima. Semplicemente, ho avuto la possibilità di studiare, che non è così scontato, e poi ho il mio modo di essere che mi permette di emergere di più rispetto ad altri».
Ma la tua generazione ha un problema con i libri?
«No, non abbiamo problemi con i libri, affatto. Non più degli anni passati. Anzi, a livello numerico leggiamo molto di più di certe generazioni del secolo scorso. Quello che penso è che sicuramente bisogna anche educare un pubblico di lettori a un determinato tipo di letture. C’è bisogno di qualcuno che ne parli. Ma siccome se ne parla poco, noi siamo nella condizione di trovare da soli la nostra passione, il nostro genere. L’unico modo per aumentare i lettori è parlarne di più e “darli”, i libri. Quindi in primis in famiglia: è importante ce ne siano in casa. Un ragazzo che non legge di solito viene da una famiglia che non legge. Io ho avuto la fortuna di crescere circondato da libri».
Quali sono i “classici” che consiglieresti a un ragazzo o a una ragazza a cui non piace leggere?
«In realtà se a uno non piace leggere forse la letteratura classica può provocare l’effetto contrario. Io ho un libro “mio”, in mente, che può rappresentare uno sblocco dal punto di vista della lettura ed è una tragedia: Lettera di una sconosciuta di Stefan Zweig ti distrugge l’anima e il corpo; a quel punto devi leggere per forza qualcos’altro. Per quanto riguarda i classici, consiglio il De vita beata e il De brevitate vitae di Seneca, che sono più impegnativi ma suscitano riflessioni importanti. E poi Le metamorfosi di Apuleio, che sono simpatiche, così come il Satyricon di Petronio Arbitro. Passando al greco, consiglio le tragedie, soprattutto quelle di Euripide, che sono più vicine alla nostra sensibilità, quindi Medea, Alcesti, Elena: si leggono in fretta e sono arricchenti».