L’azienda agricola La Vezzana di Faenza non può coltivare i suoi campi perché dal 19 settembre scorso sono coperti da enormi tronchi di alberi che erano stati tagliati nell’alveo del fiume Lamone mesi prima ma non rimossi e la piena li ha spostati come fuscelli fino a lasciarli dove una volta c’erano orti e piantagioni. «I nostri mezzi meccanici non hanno la potenza per sollevare tronchi di quella dimensione – spiega Morena Carapia, titolare dell’azienda nelle campagne tra Errano e Sarna –. La protezione civile mi dice di pagare qualcuno che faccia il lavoro e poi chiedere il rimborso alla struttura commissariale. Quindi dovrei anticipare una cifra, per riaverla indietro chissà quando e solo con mille pratiche burocratiche, che non sarebbe mai servita se chi ha eseguito il disbosco dell’alveo avesse portato via i tronchi tagliati facendo bene il suo lavoro o se qualcuno avesse riparato l’argine danneggiato da un anno».
La Vezzana oggi ha un’estensione totale di circa cinque ettari in un’ansa del Lamone e fa agriturismo. «Il mio bisnonno prese questa terra nel 1893. Formalmente la mia proprietà comprende anche un tratto di argine del fiume, ma da sempre a noi è vietato intervenire perché se ne occupa il Demanio. La competenza è loro». Attualmente la superficie a disposizione di Carapia è ridotta a due ettari: «Altri due sono coperti da tronchi, ramaglie, radici, limo e detriti vari trasportati dalla piena e un ettaro è praticamente stato portato via dal fiume. Sarebbe da ricostruire con un costo che un geologo al momento non ha nemmeno quantificato».
I primi danni sui campi di Carapia arrivarono all’inizio di maggio 2023. «Quella volta fu poca roba, riuscimmo a sistemare in poco tempo ed eravamo pronti per la semina del mais». Ma ogni piano venne cancellato due settimane dopo: il 16 maggio le tracimazioni dell’acqua fecero cedere una parte dell’argine e i campi si allagarono di nuovo. «Per fortuna vista la posizione non abbiamo mai avuto l’acqua nell’abitazione, ma i campi sono una necessità per la nostra azienda».
Dal momento del parziale cedimento dell’argine è cominciata l’odissea dell’agricoltrice tra uffici e istituzioni per capire a quale porta bussare o quale telefono chiamare per risolvere il problema. «A primavera 2024 è venuto il sindaco Massimo Isola a fare un sopralluogo insieme ai tecnici del Comune e della protezione civile. Li abbiamo accompagnati lungo l’argine e ci dissero che entro l’estate avrebbero riparato il danno. Io e i miei vicini di casa eravamo ottimisti».
L’estate è passata, ma nessuna riparazione è stata fatta. Anzi: «Le ditte che hanno disboscato l’alveo hanno allargato di più il danno muovendosi con i mezzi, ma ci fidavamo delle promesse contando su una riparazione prima dell’autunno». Invece ha fatto prima il maltempo. Il 19 settembre scorso la piena ha trovato un argine che non arginava e si è riversata nei campi de La Vezzana e di altre aziende agricole confinanti portando con sé i tronchi lasciati dopo lo sfalcio.
«Gli ultimi due raccolti di mais sono andati perduti. La terra dove avremmo l’orto è coperta da limo e tronchi. Riusciamo a portare avanti l’attività di ristorazione all’agriturismo solo perché le autorità hanno allentato i vincoli di autoproduzione per chi è stato alluvionato. Alla protezione civile non chiedo che mi ricostruiscano i campi, a quello ci penserò io con le mie ore di lavoro, ma quei tronchi venga qualcuno a rimuoverli visto che sono arrivati lì per una serie di negligenze, ritardi e mancanze».