venerdì
27 Giugno 2025
accoglienza

Sbarcati i migranti della Life Support. Un ragazzo: «Parlate delle prigioni libiche»

Le 82 persone salvate da Emergency resteranno tutte in Emilia-Romagna. Due donne, di cui una incinta, in ospedale per precauzione

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Si è concluso alle 16.20 di oggi (22 aprile) alla banchina della Fabbrica Vecchia di Marina di Ravenna lo sbarco delle 82 persone soccorse il 17 aprile dalla Life Support di Emergency nelle acque internazionali della zona Sar libica. La maggior parte dei migranti proviene dall’Eritrea (48 persone) e dall’Etiopia (15 persone); il resto da Nigeria, Ghana, Sudan, Camerun e Togo.

Il gruppo è composto da 68 uomini e 14 donne; tra loro 27 minori (23 maschi e 4 femmine), 24 dei quali non accompagnati. Tutti i migranti resteranno in Emilia-Romagna. Due donne, di cui una incinta, sono state precauzionalmente accompagnate in ospedale a Ravenna.

«Lo sbarco si è svolto senza difficoltà, ringrazio le autorità e i volontari che ci hanno assistito contribuendo con la loro collaborazione a rendere le operazioni veloci e serene – commenta Domenico Pugliese, comandante della Life Support -. Ora che tutti i naufraghi sono finalmente al sicuro a terra non possiamo che augurare loro il meglio per il futuro».

Le 82 persone sbarcate a Ravenna hanno riferito di essere partite da Zawiya, in Libia. «Mi ha colpito molto – commenta Chiara Picciocchi, mediatrice culturale a bordo della Life Support – la storia di una madre sola che è partita con sua figlia, affrontando un viaggio pericoloso e difficile, per riuscire a garantire a sé stessa e a lei una vita migliore. Auguro alle due donne e a tutti i naufraghi di vedere realizzati i loro sogni».

Un minore non accompagnato, ha raccontato invece di essere arrivato in Libia nel 2023: «Lì mi hanno subito messo in prigione per nove mesi, la mia famiglia ha dovuto pagare 10.000 dollari per farmi uscire – è la sua dichiarazione pubblicata in una nota inviata alla stampa da Emergency -. Dopo il rilascio i trafficanti mi hanno portato a Tripoli, ma lì sono stato arrestato di nuovo e portato nella prigione di Oussama. Per uscire, chiedevano altri 10.000 dollari. In quella prigione non c’è vita. Le persone muoiono lì dentro, non ci sono vestiti, non c’è cibo, non c’è acqua. Si viene picchiati, si muore. Solo pagando si può uscire».

«Sono scappato dall’Etiopia al Sudan, ma anche lì c’era la guerra – prosegue il ragazzo -. Non avevo mai pensato di venire in Europa, ma ovunque andassi trovavo violenza. Però quello che ho vissuto in Libia è peggio della guerra. Ora che sono finalmente al sicuro mi sento come se fossi nato una seconda volta e vi chiedo solo una cosa: parlate di chi è ancora in prigione in Libia. Persone che vivono in condizioni disumane e che non hanno voce, ma che voi potete far sentire».

Una giovane donna ha invece raccontato ai soccorritori: «Nel mio Paese c’era la guerra, sono stata ferita ad una gamba e dopo essermi rimessa, ho iniziato il viaggio. Ero con altri cinque ragazzi. I trafficanti hanno subito provato ad abusare di me sessualmente, io continuavo a rifiutarmi e allora hanno cominciato a picchiarmi con il calcio della pistola. Nel deserto del Sahara ci davano da bere acqua mischiata con la benzina, non avevamo diritto a cibo né acqua, se chiedevamo qualcosa ci picchiavano. Poi ci hanno nascosto in una prigione, dove continuavo a sanguinare e ad essere picchiata su tutto il corpo. Quando finalmente ci hanno rilasciati, ci hanno venduti ai poliziotti libici e siamo stati imprigionati nuovamente».

«Anche lì ci torturavano, in quella seconda prigione ho visto cose terribili – racconta ancora la donna soccorsa, nelle dichiarazioni riportate da Emergency – alcune donne sono morte, una madre somala non riusciva ad allattare il suo bambino perché non aveva latte così il piccolo è morto. Non avrei mai immaginato che il viaggio potesse diventare così disumano. Noi eritrei ed etiopi cristiani venivamo trattati peggio degli altri, peggio dei musulmani. Solo quando la mia famiglia è riuscita a raccogliere 2.200 dollari, mi hanno lasciata andare. Ancora oggi non riesco a credere di aver attraversato il mare, mi sembra un sogno. Chiedo a chiunque possa farlo, di aiutare chi è ancora nelle carceri libiche. Spero di poter aiutare la mia famiglia, il mio sogno è riuscire a portarli in Europa e averli vicini».

Come evidenziato dal report “Il confine disumano – Salvare vite nel Mediterraneo centrale” di Emergency, la prassi del governo di assegnare porti di sbarco come Ravenna, distanti dalla zona operativa alle navi Sar della flotta civile già nel 2024 ha costretto la sua nave Life Support e i naufraghi a bordo a percorrere in media 630 miglia nautiche in più a missione, impiegando oltre tre giorni di navigazione. Per andare e poi tornare in zona operativa, inoltre, lo scorso anno sono stati necessari 59 giorni di navigazione aggiuntiva. «Un tempo prezioso sottratto all’attività di ricerca e soccorso», accusano da Emergency.

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