Riceviamo e volentieri pubblichiamo l’intervento di Marina Mannucci, attivista per il clima e i diritti umani, in vista della manifetazione contro guerra e riarmo in programma a Roma.
Sabato 21 giugno, alle ore 14, a Roma si svolgerà la Manifestazione nazionale contro guerra, riarmo, genocidio, autoritarismo, promossa dalle oltre 300 reti, organizzazioni sociali, sindacali, politiche nazionali e locali che hanno sottoscritto l’appello della Campagna europea #StopRearmEurope (https://stoprearm.org/) che, a oggi, conta tra le proprie adesioni circa mille sigle in 18 paesi e che vede come promotori italiani Arci, Ferma il Riarmo (Sbilanciamoci, Rete Italiana Pace e Disarmo, Fondazione Perugia Assisi, Greenpeace Italia), Attac e Transform Italia. La manifestazione rientra nella settimana di mobilitazione europea, che si terrà dal 21 al 29 giugno in occasione del vertice della Nato a L’Aja, che proprio in quei giorni deciderà i dettagli del gigantesco piano di riarmo deciso dall’Unione Europea, e vedrà la convergenza di tante identità, tutte impegnate contro la guerra, per la pace, per la giustizia sociale e climatica, i diritti e la democrazia nel nostro paese.
A Ravenna La Via Maestra – Insieme per la pace, grazie anche alla collaborazione della Casa delle Donne, organizza pullman che partiranno per Roma (è prevista una quota di partecipazione); alcune persone hanno lasciato biglietti sospesi (iniziativa di solidarietà che permette di acquistare un biglietto e di donarlo a chi non può permetterselo) per contribuire a far fronte al costo del trasporto in modo significativo; pochissimi i posti rimasti liberi. È prevista una sosta a Faenza per far salire un gruppo di partecipanti. Per info e partecipazione potete scrivere a ravenna@arci.it o via whatsapp al 334 7709361. All’iniziativa ha aderito anche Il Coordinamento Ravennate per il Clima Fuori dal Fossile e Rete Emergenza Climatica e Ambientale Emilia Romagna per portare all’interno della manifestazione una riconoscibile presenza ambientalista.
L’economia di guerra, dirottando grandi risorse – finanziarie, materiali, morali – verso la produzione e l’uso delle armi è in netto contrasto col benessere ambientale, sociale ed economico a medio e lungo termine. Per produrre armi sono necessarie grandi quantità di materie prime – combustibili fossili, metalli, elementi rari – la cui sfrenata estrazione contamina gli ecosistemi. Le esercitazioni militari e, ancor più le guerre, sono azioni altamente energivore che, disboscando e inquinando atmosfera e suolo, distruggono gli habitat e hanno conseguenze devastanti sulle risorse naturali, sulla salute, il sostentamento e la sicurezza delle persone. L’impatto ambientale provocato da armamenti e guerre è una questione complessa e urgente che richiede un’attenzione globale (anche da parte della società civile che lavora per la Pace e il Disarmo) come primo passo per mitigare i danni, promuovere il risanamento ambientale e prevenire conflitti futuri. La ricerca/rapporto Soaring global military spending threatens global climate action (https://ceobs.org/how-increasing-global-military-expenditure-threatens-sdg-13-on-climate-action/) del CEOBS Conflict and Environment Observatory (Osservatorio sull’ambiente e i conflitti) in collaborazione con l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari del Disarmo pubblicata in esclusiva, nel mese di maggio, dal quotidiano britannico Guardian (https://www.theguardian.com/environment/2025/may/29/nato-military-spending-could-increase-emissions-study-finds), ha lanciato l’allarme sull’impatto ambientale delle spese militari record di 2.460 miliardi di dollari nel 2023. Lo studio denuncia anche un pericoloso scollamento tra sicurezza a breve termine e crisi climatica a lungo termine. Per quanto riguarda l’Europa, una stima probabilmente conservativa indica con quasi 25 milioni di tonnellate di CO2 l’impronta di carbonio del settore militare europeo (considerando sia gli eserciti nazionali che le industrie tecnologico-militari), pari alle emissioni annuali di 14 milioni di automobili (il sito militaryemissions.org affronta l’impresa ardua di mappare i dati sulle spese e le emissioni militari nazionali). Un ulteriore problema è che l’aumento delle spese militari sta intaccando la fiducia necessaria per il multilateralismo; alla COP29, paesi del Sud globale come Cuba hanno sottolineato l’ipocrisia degli Stati disposti a spendere sempre di più per i loro eserciti, ma che offrono impegni di finanziamento climatico del tutto inaccettabili e troppo bassi. Tra le raccomandazioni chiave proposte dal CEOBS c’è la richiesta di maggiore trasparenza nella contabilità delle emissioni militari (comprendendo tutta la filiera), la revisione delle linee guida IPCC Intergovernmental Panel on Climate Change (Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico, organismo internazionale per la valutazione dei cambiamenti climatici) per facilitare il reporting all’UNFCCC United Nations Framework Convention on Climate Change (Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici), l’adozione di piani seri di tagli netti alle emissioni militari, e la comunicazione chiara verso i cittadine/i di come queste spese rallentino consapevolmente il raggiungimento degli obiettivi climatici di Parigi. Il rapporto evidenzia anche come i cambiamenti climatici alimentino indirettamente nuovi focolai di guerra e, come dichiarato da Ellie Kinney, ricercatrice e coautrice dello studio: «c’è una seria preoccupazione per il modo in cui stiamo dando priorità alla sicurezza a breve termine sacrificando quella a lungo termine».
«Questa cattedrale con i suoi ottocento anni potrebbe ridursi in polvere la prossima notte… questa città traboccante di vita crollare in quarto d’ora»
Elias Canetti, La rapidità dello spirito. Appunti da Hampstead, 1954-1971
La guerra, forma strutturale di violenza, utilizzata come strumento che definisce equilibri, per tutte le sue manifestazioni che siano militari, commerciali, finanziarie, comunicative, culturali, etniche, regionali, locali ecc., occupa sempre più la scena mondiale ed è oggetto di indagini condotte in ambito geopolitico, economico, tecnologico, sociologico, psicologico, ambientale, eccetera. Malgrado sia palese l’inefficacia delle scelte armate e militari per regolare la convivenza umana, chi trae vantaggi dalle guerre e dal riarmo non può che continuare a giustificarla, ritenerla ineludibile e disconoscere/denigrare qualsiasi pensiero o proposta per la pace e la non violenza. Promuovere la pace è un’indispensabile assunzione di responsabilità che ha bisogno di impegno, di fatica e di tempo per contrastare la sterilizzazione dei cervelli promossa dalla sempre più pervasiva banalità della guerra. Appuntamento a tutti/e sabato 21 giugno, alle ore 14 a Roma per la manifestazione nazionale contro guerra, riarmo, genocidio, autoritarismo.
Chiudo con l’intervento di Michela Murgia (scrittrice, drammaturga, conduttrice televisiva, opinionista) del giugno del 2023 in merito al tema della militarizzazione: «Io Sono anti-militarista, ma non vuol dire che odio i militari. Vuol dire che sono cittadina di uno Stato che nella sua Costituzione ripudia esplicitamente la guerra. Trovo privo di logica celebrare la nascita della democrazia facendo mostra dell’apparato bellico, perché è la stessa cosa che fanno le dittature. Le forze armate ce l’hanno già la loro festa: è il 4 novembre. Il 2 giugno è invece la festa di tutti i cittadini e tutte le cittadine, e sarebbe bello se un Paese facesse sfilare le migliori espressioni della sua vita democratica. Io ho un sogno: immaginate i vostri figli che un giorno ai Fori Imperiali vi chiedano: Mamma, chi sono quelli che aprono la parata? E voi potreste rispondere: Sono gli artisti e le artiste di questo Paese, che ci ricordano che cercare la bellezza è quello che ci rende umani anche nell’orrore più grande. Sono i dottori, i medici e le mediche che ci salvano tutti i giorni dalle malattie e che ci hanno salvato dalla pandemia, morendo e sfinendosi perché noi potessimo guarire, o non ammalarci. Sono il corpo insegnanti, grazie al quale se studi sarai in grado di diventare quello che vuoi. Sono i 100 più onesti contribuenti, che rendono possibile mantenere i servizi dello Stato sociale. Sono giornalisti e giornaliste, persone che garantiscono l’informazione libera di questo Paese. Dove la democrazia non c’è, queste persone con la penna in mano non potrebbero neanche fare quel lavoro. Immaginate che lezione di civiltà ne verrebbe fuori. Certo, è difficile convincere chi fa arte a sfilare, se le scelte dei governi in questi anni hanno precarizzato il settore fino a trasformare gli artisti e le artiste in degli accattoni di Stato. Complicato anche far sfilare il personale medico, dopo che da anni tagli i finanziamenti al sistema sanitario. Credo sia difficile chiedere anche ai docenti meno pagati d’Europa di passarti, orgogliosi, sotto al palco. Anche chiederlo ai giornalisti e alle giornaliste è diventato complicato: specialmente se come politico pratichi la querela intimidatoria contro chiunque ti critichi, come sta succedendo sempre di più. Impossibile poi onorare i contribuenti onesti, se li hai fatti sentire dei cretini chiamando le tasse “pizzo di Stato”. Le forze armate invece no, possono sfilare fiere: non solo i finanziamenti al comparto bellico sono cresciuti a dismisura negli ultimi anni, ma il governo attuale sta stornando i fondi del Pnrr destinati a ben altro per finanziare armi e eserciti. E per evitare di essere disturbato si è tolto di mezzo anche il controllo della Corte dei Conti. Questo. Basta questo perché le persone come me preferiscano andare al mare, a rileggersi Don Milani, anziché ai fori imperiali a vedere il passo cadenzato degli stivali da guerra».
Marina Mannucci