Editore ed esperto di libri d’arte, il ravennate Danilo Montanari nasconde anche un animo da scrittore. Poco mossi gli altri mari, di recente pubblicato da Fernandel, è infatti un libro dove la scrittura è proprio ciò che incanta e ammalia.
All’apparenza una raccolta di racconti, in realtà è un libro dove i fili si intrecciano in modo sottile ma costante in una fitta tessitura che lo rende una sorta di ibrido: il consiglio è di leggerlo tutto d’un fiato per cogliere meglio i rimandi e le continue assonanze di temi, atmosfere, situazioni, riflessioni, veri e propri fiumi carsici che riaffiorano lungo le pagine.
Se il primo pensiero può correre alle Micro fictions di Jauffret, Montanari ci dice che tra le sue letture della vita ci sono i Sillabari di Parise. Inevitabile pensare anche al conterraneo Dedi Baroncelli, ma qui la prosa appare volutamente più quotidiana, i racconti restano più aperti, non c’è miniatura, ma nemmeno un semplice abbozzo. Il titolo che cita una frase così frequente delle previsioni atmosferiche fa pensare subito a qualcosa poco degno di nota, tanto da non essere nemmeno nominato, uno spazio dove non accade nulla di speciale, dove non ci sono tempeste in corso.
E così è nei quadri che compongono il libro: momenti di vita vissuta, a volte sognata, fugaci apparizioni quotidiane con pennellate precise venate spesso da un’ironia sorniona che non prende mai il sopravvento. Come fil rouge c’è la sera, l’imbrunire, lo scendere della notte. «Ricordo tutte le sere della vita, quasi nessun mattino» scrive Montanari in apertura del volume. «La sera invece ti coglie alla sprovvista, sempre allo stesso modo». E ancora: «La sera lascia le macchie sulla camicia, quelle macchie che poi non se ne vanno. Questo è.». E sono in qualche modo quelle macchie che Montanari ci racconta passando dalla prima alla terza persona, dal maschile al femminile, mettendo in scena una galleria di personaggi che vediamo in qualche caso per qualche istante della loro vita, sufficiente a farci immaginare il resto. È un libro che sfida il lettore, lo chiama costantemente in causa per riempire i vuoti, il non detto dell’autore. «Mi sembrava cercasse qualcosa e io non avevo altro da offrirle, così ho messo insieme queste poche parole. Le prenda, la prego, sono le sue, io non saprei proprio che farmene» scrive a un certo punto Montanari, quasi in una (involontaria?) e beffarda dichiarazione poetica.
E anche alla scrittura non manca la lettura, con le biblioteche personali e il Nabokov assente. Ma il libro è anche fatto dei ritratti di Ulisse, muratore e bagnino, Oreste, cacciatore in valle di folaghe, Ottavio, camionista dalla doppia vita separata da un canale, Clodio che conta i passi ogni giorno ed Egisto, edicolante che parla agli uccelli. Con queste figure l’autore disegna anche la geografia di questi luoghi, dove è nato e ha trascorso la sua vita. Ma forse, a poterci dire qualcosa su questo libro è un altro personaggio ancora, quello che scrive tre lettere al giorno per ci dice, «raccontare, per far volare le parole per farle uscire dall’affollamento che le comprime nei lunghi giorni di fatica». A lettore il piacere di coglierle e collezionarle.



