Ora i punk sono i cavalli nella saga “Canto dei Canti“

L’opera equestre di Giovanni Lindo Ferretti

Saga FerrettiDopo gli anni sfrenati, dopo gli anni battaglieri, dopo gli anni del punk, dei CCCP e della rivoluzione, Giovanni Lindo Ferretti è tornato sui monti dove era stato bambino. Dal fragore è passato al silenzio. Oggi vive in mezzo ai cavalli, alla natura, e proprio con i suoi cavalli ha deciso di tornare sulle scene (al Ravenna Festival dal 19 al 21 giugno al palazzo San Giacomo di Russi con Saga IV. Il Canto dei Canti), con un teatro che lui stesso definisce “barbarico”.
«Vedi, i cavalli sono come i punk. Non amano le regole, fanno le prove svogliati, ma quando inizia lo spettacolo, quando si accorgono che c’è il pubblico, quando sentono gli applausi, allora diventa bellissimo».

Il suo ritorno nel luogo dove è cresciuto, nelle sue montagne, nella casa dove abitava con sua madre, è un ritorno alle origini che permea anche lo spettacolo?
«Questa idea di teatro barbarico è strettamente legata con la mia infanzia, con la mia terra e con due persone, Marcello e Cinzia (Marcello Ugoletti e Cinzia Pellegri, in scena con lui n.d.r.), che abitano su queste montagne e hanno trascorso la loro vita in mezzo ai cavalli».

Quando parla di questo spettacolo usa il termine “teatro barbarico”, cosa intende?
«”Teatro” è una parola precisa e strutturata. Non facciamo un teatro letterario, non facciamo un teatro di ricerca, né un teatro di denuncia. Il teatro contemporaneo è al 70 percento – quando va bene – una dimostrazione di tecnica elettrica. È lo stupore che dà un effetto di illuminotecnica. Compaiono e scompaiono mondi, ma un tempo per far apparire e scomparire mondi bastava la parola. La tecnica era molto contenuta. Se si toglie l’illuminazione al teatro contemporaneo, il teatro scompare. Il nostro è un teatro in un altro modo, molto giocato con la parola. Il nostro teatro è “barbarico” nel senso che è un teatro delle origini, primordiale. È il pubblico che si ritrova in un luogo e partecipa a una ritualità. A questo pubblico si racconta una storia. È un teatro “epico”. È un teatro “montano” perché non poteva che nascere all’estrema periferia del mondo culturale. È un teatro che si fa al tramonto».

Saga Ferretti amazzoneCome siete riusciti a mescolare elementi umani molto precisi e rigorosi, come la musica e la parola recitata, con un elemento animalesco e imprevedibile come la presenza di venti cavalli in scena?
«Anche i CCCP, in un altro modo e in un altro tempo, erano una specie di teatro barbarico. Molto corporale, molto fisico, ed erano difficili da gestire, come lo sono i cavalli. È una domanda a cui non si può rispondere, fa parte del piacere e della straordinarietà di questa esperienza teatrale. In questo spettacolo mettiamo in scena la storia della nostra gente, una storia segnata da questi cavalli. Senza la presenza dei cavalli in scena non sarebbe stata la stessa storia. In scena non ci sono i cavalli del teatro equestre, selezionati e allevati nei secoli per la propria bellezza e per il piacere dell’uomo. Sono i residuali di una lunga storia. Sono quelli che erano i cavalli da lavoro, della cavalleria dell’esercito, i cavalli maremmani che sono rimasti dopo la fine del mondo equestre avvenuta dopo la seconda guerra mondiale».

Il cavallo è stato l’animale che nella storia ha reso possibile all’uomo coprire lunghi tragitti, dando di fatto origine alla storia dell’umanità. Oggi nel segno del progresso, l’uomo pare aver dimenticato questo animale a cui per millenni ha dovuto la sua evoluzione e la sua sopravvivenza. L’uomo si è dimenticato degli animali che lo hanno servito per millenni?
«Questo spettacolo è nato anche per questo motivo. Per ricordarci di questa storia. Stiamo investendo sul futuro dell’uomo con questa scommessa. All’origine della civiltà antichi uomini e antichi cavalli fecero un patto di reciproco e mutuo aiuto. Nel momento in cui questo rapporto non ha più ragione di essere, perché i cavalli non servono più come forza lavoro, né come forza necessaria alla guerra, i cavalli diventano a rischio scomparsa. Rimane però un mondo da scoprire. Crediamo che il cavallo abbia una dimensione terapeutica da indagare, e una dimensione estetica. L’uomo oggi è troppo legato alla macchina. Questo gli causa grandi problemi psichici. Non è più un rapporto di necessità utalitaristica, ma di necessità estetica, etica e psichica. Il cavallo aiuterà l’uomo a non farlo diventare una macchina».

Saga Ferretti cavaliereDopo anni di vita “punk” oggi sembra un’altra persona, come vive la sua quotidianità?
«I cavalli mi hanno imposto una disciplina quotidiana rigidissima, senza giorni di vacanza e senza feste. Vivo in un mondo arcaico in cui ogni giorno ci si sveglia all’alba perché i cavalli devono mangiare, i puledri devono uscire, e bisogna spalare la merda. Ogni giorno dell’anno. L’unico momento di riposo è la domenica mattina. La domenica mattina c’è la messa».

Cosa rimane in lei del ragazzo che era in quegli anni?
«Io sono la stessa persona, sono passati però 35 anni. L’adolescenza e la giovinezza presuppongono un distacco dalla propria storia, ma poi la storia va recuperata. La dimensione adulta è contrassegnata dal recupero della propria storia. Io non mi sento cambiato. Sono la stessa persona, con le esperienze degli anni, anche esperienze negative, di sofferenza. Il mio modo di stare nella arena è lo stesso. Lo stesso sguardo, lo stesso proporsi a una platea. Il pubblico viene a guardarti perché racconti un pezzo della condizione umana. Ho ricominciato anche a cantare le canzoni dei CCCP, perché ora le mie condizioni me lo permettono. Le canto senza cambiare una parola, ma il mio sguardo è diverso. C’è più leggerezza. Avevo uno sguardo che si incupiva, ora è uno sguardo che tende al sorriso, alla serenità e alla pacificazione. Gli esseri umani non cambiano mai, però la vita è un processo. Credo che finché non si muore ogni giorno vada vissuto come un giorno nuovo».

La politica la appassiona ancora?
«No, mi appassionerebbe, ma… Se penso a come è cambiato il contesto, non ci capisco più niente… mi sento un sopravvissuto di un’altra epoca».

Con Papa Ratzinger ha scoperto una sua dimensione spirituale. Si trova in sintonia anche con Papa Bergoglio?
«Sono cresciuto come bambino cattolico poi sono divenuto… l’esatto contrario. Poi sono tornato indietro. Il mio Papa è Ratzinger, è Benedetto. Oggi abbiamo la fortuna, capitata a poche generazioni, di vivere con due papi, uno emerito e uno in carica. Che posso dire? Al cuor non si comanda, il mio mi ha condotto da Benedetto. Certo il Papa ora è Francesco e quando lui comanda io obbedisco».

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