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    Categoria: cultura

L’opera italiana spiegata da Riccardo Muti

La prima masterclass del Maestro

La platea è quasi piena, e anche molti palchi sono occupati. Le luci accese illuminano la distesa di sedie e leggii che riempiono la scena. In sala c’è un chiacchiericcio diffuso, sembra la pausa fra due lezioni a scuola. E in un certo senso lo è: stanno per ricominciare le prove del Falstaff, che Riccardo Muti dirigerà al teatro Alighieri il 23, il 25 e il 26 luglio. L’allestimento del capolavoro di Verdi è anche l’occasione per mettere in campo un nuovo progetto. Il Maestro, da sempre impegnato nella trasmissione del sapere e nella formazione dei nuovi talenti, ha tenuto infatti dal 10 al 21 luglio la prima masterclass dell’Italian Opera Academy (vedi correlato).

L’accademia nasce come ideale proseguimento del percorso didattico già iniziato da Muti nel 2004 con la costituzione dell’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini, vivaio di giovani strumentisti accuratamente selezionati, tutti sotto i trent’anni e provenienti da tutte le regioni d’Italia. La masterclass che si è svolta i giorni scorsi era riservata ad aspiranti direttori d’orchestra e maestri collaboratori. Le domande di ammissione sono arrivate a centinaia da ogni parte del mondo e, dopo una prima scrematura dei candidati, è stato il Maestro in persona a scegliere gli otto allievi – quattro direttori e quattro collaboratori – a cui insegnare preziosi frammenti della propria arte. I fortunati che hanno avuto l’opportunità di perfezionarsi con Riccardo Muti si sono dovuti confrontare proprio con il Falstaff, esempio perfetto di quell’opera italiana che è un banco di prova irrinunciabile per i giovani musicisti. Gli allievi avranno presto modo di mettere a frutto quanto imparato salendo sul podio dell’Orchestra Cherubini nel concerto in programma il 27 luglio all’Alighieri, interamente incentrato sul Falstaff.

Finisce la pausa. Entrano i musicisti della Cherubini, si siedono ai loro posti e iniziano ad accordare gli strumenti. Molti nel pubblico sono a loro volta studenti di musica: all’ingresso dell’orchestra aprono gli spartiti, su cui prenderanno appunti per l’ora seguente. I quattro giovani direttori d’orchestra si sistemano su un lato del palcoscenico: sanno che fra poco saranno messi alla prova. Infatti il Maestro sale sul palco ma non occupa il podio, si siede poco distante e chiama uno di loro a dirigere. Su-Han Yang ha ventisei anni e il suo volo per l’Italia è partito da Taiwan. Ad un suo gesto i contrabbassi spezzano il silenzio, ma lui li ferma subito, c’è qualcosa da correggere. Più volte ripetono l’attacco, ricevono molte indicazioni e richieste. Deve crearsi quell’alchimia che rende l’orchestra uno strumento nelle mani del direttore.

Muti interviene per offrire suggerimenti sia all’allievo che ai musicisti. Dà istruzioni precise su come dirigere, spiega come ottenere un certo risultato dall’orchestra esprimendosi con il movimento delle mani. Un concerto in fondo non è che un dialogo fra la volontà del direttore, che con gesti tutt’altro che casuali propone ai suoi interlocutori la propria idea dell’opera, e l’interpretazione degli strumenti, che rispondono con il ritmo, con l’intensità, con la loro versione. Come in ogni altra forma di comunicazione è inevitabile il fraintendimento, la difficoltà nell’adattarsi al punto di vista altrui: a lungo si riprovano le stesse battute, col desiderio comune di raggiungere il miglior compromesso possibile fra le diverse aspettative.

Il Maestro insiste molto sull’espressività della musica in relazione al testo. Ogni nota, ogni tempo deve intrecciarsi ai significati delle parole, interpretandole, svelandone i sottintesi. Le sfumature che emergono dal libretto dell’opera devono essere riprodotte dall’orchestra. Muti riprende costantemente il testo, evoca per i suoi giovani allievi le atmosfere e le sensazioni che loro dovranno ricreare in musica per il pubblico. Essenziale è quindi l’intima conoscenza dell’opera, di tutti i particolari e i retroscena, della sua genesi e del suo autore: è questo quadro minuzioso che contribuisce a definire nella mente del direttore il risultato cui aspira. In piedi davanti ai musicisti, con gli spartiti sotto gli occhi, ha ben chiara nella sua immaginazione l’esecuzione perfetta, e tenta di riprodurla correggendo e guidando gli strumenti in ogni minimo dettaglio.

Su-Han torna a sedersi fra il suo collega bielorusso Vladimir Ovodok e l’unica ragazza del quartetto, Erina Yashima, che viene da Berlino. È il turno di Vincenzo Milletarì, venticinquenne tarantino che dirige cantando le strofe del Falstaff. Muti continua a richiamare l’attenzione sul legame fra musica e parole, si sofferma a limare le singole battute e gli accenti: «Dobbiamo caratterizzare ogni nota, questo è il punto» dice agli allievi. Esigente nel richiedere che ogni passaggio assuma un ben preciso colore, il Maestro utilizza per insegnare un linguaggio ricco di immagini: «La paura non è il fortissimo ma il pianissimo, come il ringhiare basso di un cane».

Mentre proseguono le prove conduce una sorta di esegesi del Falstaff, cercando di traghettare i giovani musicisti al di là del fiume della trama, delle scene e degli intrighi, per scoprire il cuore, il messaggio nascosto dell’opera di Verdi. “Tutto nel mondo è burla”: una constatazione disillusa, cui il compositore, giunto a 82 anni e colto dal pensiero che tutto ciò che ha scritto non sia altro che una beffa, non può sfuggire. «Il Falstaff non è un’opera allegra: anche nei suoi momenti più leggeri mantiene sempre un retrogusto amaro, che rivela una profonda tristezza. Non è il banale racconto di uno scherzo divertente, ma la metafora paradossale della tragicità dell’esistenza, del gioco crudele della vita e della morte, dell’amore e della sua delusione», spiega il Maestro alla platea silenziosa.

La complessità dell’universo evocato da Verdi è tale che sembra non sia possibile esprimerla in musica, si può solo percepire dagli spartiti: «Viene descritto un mondo talmente preciso e perfetto che metterci le mani per riprodurlo significa inevitabilmente rovinarlo. Appena dalla carta si porta in vita l’opera ci si rende conto che qualsiasi esecuzione sarà sempre inferiore alla partitura: è il limite umano». La perfezione si può solo inseguire, e bisogna farlo con la tecnica, con l’esercizio, con la disciplina e lo studio. Nulla è lasciato al caso o approssimato, dietro ogni gesto c’è un’intenzione consapevole e meditata. E, soprattutto, ispirata da una grande passione.

Quando ci si immerge nelle sue profondità immancabilmente l’arte si intreccia alla vita. Fra battute e aneddoti, Riccardo Muti trasmette agli allievi il proprio sapere attraverso storie e suggestioni. Non vuole solo insegnare i trucchi del mestiere, renderli abili, ma piuttosto consegnare nelle loro mani un tesoro di racconti di vita e musica vissuta, un vero patrimonio culturale di cui è depositario: la sua esperienza di musicista e di uomo.