Carofiglio: «la precisione delle parole è necessaria per dire la verità»

A tu per tu con lo scrittore – atteso il 13 settembre a Palazzo Rasponi – su etica e linguaggio, metafore e finzione, politica e letteratura

Gianrico CarofilgioGianrico Carofiglio apre la nuova edizione della rassegna letteraria intitolata “Il tempo ritrovato”, che si svolgerà tra Palazzo Rasponi e il Caffè Letterario ogni settimana. Autore lettissimo e tradotto in tutto il mondo, nella vita è stato anche magistrato e senatore. Ha dedicato tre libri alla scrittura, l’ultimo dei quali, in uscita in questi giorni è Con parole precise, breviario di scrittura civile, edito da Laterza. Ne parleremo assieme domenica 13, alle 21, a Palazzo Rasponi.

Intitolando così il libro intende sottolineare che oggi si tende a parlare in maniera poco precisa?
«Certamente, viene dalla constatazioni della imprecisione impunita che caratterizza il nostro discorso pubblico. È inoltre una citazione di una poesia di T. S. Eliot che enuncia il dovere di “giustezza“ in ogni cosa che si dice o si scrive».

Scrivere, come fa lei, del concetto di etica legata all’uso del linguaggio non è un tema molto comune tra gli scrittori di oggi…
«Purtroppo si parla troppo poco di etica. Come scriveva Primo Levi “dovremmo rendere conto di tutto quello che diciamo e scriviamo, parola per parola“, perché la fiducia nel linguaggio è il primo momento di condivisione della società. Se uno usa le parole senza dar loro significato, se le svuota o, ancora peggio, le usa in modo manipolatorio, vìola un patto sociale. Questo è un disvalore etico. Dare un significato alle parole è un gesto morale e rivoluzionario. “Anche il solo fatto di dare un nome giusto alla cose è un atto rivoluzionario“ diceva Rosa Luxemburg».

Se parliamo male, significa anche che pensiamo male?
«Non c’è dubbio. Parlare e scrivere in modo impreciso è causa e allo stesso tempo effetto di un pensare in modo impreciso, e pensare in modo impreciso non è un dettaglio. Le parole sono il nostro modo di percepire il mondo, e anche di provare a cambiare qualcosa».

Nel libro parla della metafora come modo di formare un nuovo pensiero con le parole. Quale è stata in politica la metafora più riuscita?
«Non c’è dubbio che la più riuscita, in senso di efficacia e di strategia, è stata la “discesa in campo“ di Berlusconi. Fermo restando che è una metafora manipolatoria, perché non era portatrice di valori, è stata efficace, perché molto coinvolgente. Rappresentava il sentirsi insieme, tutti, a tifare per una stessa squadra del cuore».

Renzi invece come se la cava con le metafore?
«Anche lui è un talento della comunicazione. Forse però c’è un eccesso di metafore, un consumo poltico. Una metafora di Renzi, molto efficace, entrata nel linguaggio comune, è stata quella della «rottamazione«. Una metafora che trovo un po’ discutibile, visto che paragona delle persone a degli oggetti inanimati. Non è un caso che Renzi, uomo politico molto intelligente, abbia deciso di abbandonarla».

Poi però è arrivata “la ruspa“ di Salvini…
«Beh, in questo caso si potrebbe dire che la ruspa è contemporaneamente metafora e programma politico…».

 

Carofiglio Con parole preciseHa lavorato molto tempo come magistrato. Le leggi italiane come sono scritte?
«Le leggi sono scritte malissimo. Volutamente. Per ragioni culturali e procedurali. Il ceto dei giuristi parla in maniera deliberatamente incomprensibile, per poter utilizzare il potere dell’oscurità. Se le leggi e gli atti giuridici sono incomprensibili c’è necessità di un mediatore, di un interprete, di un titolare di questa funzione sacerdotale che è appunto il giurista. È un fatto di potere, oltre che di pigrizia e narcisismo».

Immagino che i suoi ex colleghi siano molto contenti di questa sua descrizione del linguaggio giuridico.
«Guardi, paradossalmente, sono tutti d’accordo con me. Quasi nessuno di loro si rende conto di scrivere e parlare in quel modo. Mi dicono “Hai proprio ragione!“, anche persone che sono esattamente il paradigma di questa scrittura incomprensibile».

Le leggi sono scritte in Parlamento, da senatore, come le è parso questo iter di scrittura collettiva?
«È l’altro motivo per cui le leggi sono scritte malissimo. Le leggi sono formate tramite un tortuoso processo di rimbalzi tra camere e commissioni. Un testo che dovrebbe essere meditato con cautela, reso comprensibile e preciso, invece si incrociano interessi e meccanismi che rendono le norme dei veri e propri mostri. E dire che è possibile scrivere bene le leggi. Lo dimostra la nostra legge fondamentale, la Costituzione, che invece è scritta benissimo».

Quali sono, invece, le parole precise per scrivere narrativa?
«È un mondo diverso. Non muta però il dovere di verità dell’uso della parola. Il dovere di verità è non usare le parole in modo manipolatorio. Questo vale per la narrativa, vale per la poesia, allo stesso modo in cui vale per la politica e per le leggi. È il far corrispondere le parole ai concetti».

Volendo far un esempio di romanzo che non rispetta la verità?
«Non rispetta la verità tutta la narrativa scadente. Romanzi che usano la lingua come un insieme di stereotipi, e che cercano di dire quello che secondo loro i lettori vogliono sentirsi dire, e non dicono invece quello che l’autore ha da dire. Spesso perché questi autori non hanno niente da dire».

Un romanzo invece che rispetta magistralmente la verità?
«Per far capire cosa intendo per ricerca della verità cito La metamorfosi di Kafka. Non intendo dire che rispettare la verità sia raccontare solo fatti reali. La metamorfosi racconta la storia di un ragazzo che si tramuta in scarafaggio, quindi non certo una trama realistica, però ci dice cosa vuol dire sentirsi un reietto, cosa significa essere rifiutati dalla propria famiglia, e lo dice in maniera molto più veritiera di quanto lo stesso Kafka non faccia in un opera realmente autobiografica come Lettera al padre. Si può dire benissimo la verità per mezzo della finzione, a volte anche meglio che con la realtà».

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