Rosa Matteucci: ironia e desolazione

A Ravenna con “Costellazioni familiari”

«Io non la conosco, non so niente di lei, non so chi siano i suoi referenti letterari. Così a fiuto mi vengono in mente tre nomi, Céline, Beckett e Thomas Bernhard, inclini a una visione della vita così disperata da sconfinare nella più grandiosa comicità». Con queste parole Carlo Fruttero definiva Rosa Matteucci sulle colonne de La Stampa diversi anni fa. Oggi Rosa Matteucci è una delle autrici più originali del panorama italiano, con una scrittura agrodolce che fa sorridere delle piccole e grandi angosce della vita. Rosa Matteucci sarà ospite della rassegna Il Tempo Ritrovato mercoledì 6 aprile alle 18.30 a Palazzo Rasponi per presentare il suo nuovo romanzo Costellazioni familiari (Adelphi).
Che impressione le fa risentire le parole di Fruttero che la paragonava a tre dei più grandi autori del ‘900?
«Quell’articolo che lui scrisse su di me valeva più di qualsiasi premio letterario. Non ci conoscevamo quando lo scrisse, ma le sue parole mi fecero riflettere. Avevo amato molto leggere Céline e Bernard, ma non mi ero accorta che mi avessero influenzato nella scrittura. Dopo, pensandoci, capii che ci aveva azzeccato. Porto con me la desolazione verso la vita dell’autore austriaco e la desolazione familiare di Morte a credito di Céline».
Nei suoi romanzi racconta storie con sfumature assurde e grottesche, che paiono allo stesso tempo essere molto realistiche. Come si mescolano questi due mondi?
«C’è del vero e del non vero. Anche quello che al lettore sembra assurdo in realtà ha molto di vero. Senza il vero è difficile inventarsi certi dettagli, certe sfumature bisogna vederle dal vivo per poterle raccontare».
Nel libro racconta la sua vita in una seduta di psicoterapia di gruppo chiamata “costellazione familiare” ispirata alle teorie del sacerdote-psicanalista Bert Hellinger, che ha il sapore di una stramberia new age… come le è venuta l’idea?
«L’ispirazione mi venne facendo la costellazione. Come racconto nel libro ho visto un annuncio e sono andata a questi incontri. Poi ho preso spunto da quella atmosfera surreale per raccontare la storia».
Anche con il romanzo Lourdes, in cui racconta il grottesco fascino della religione popolare in uno strano pellegrinaggio, aveva seguito lo stesso metodo?
«Lourdes non si può raccontare senza esserci mai stato dentro. In una narrazione ci devono essere dei dati reali, altrimenti è fantascienza. C’è sempre una esperienza diretta. Poi, ovviamente il racconto non è una cronaca, ma è mutuato dalla creazione letteraria».
Lei usa molta ironia nella scrittura, una caratteristica non comune nella letteratura italiana.
«Mi ha sempre incuriosito l’ironia, credo che abbia un grande potenziale narrativo. Credo sia importante non prendersi sul serio, credo sia una formula da prendere nella vita».
Cosa l’ha affascinata di queste sedute di psicoterapia collettiva?
«Mi colpisce la rappresentazione. Persone sconosciute diventano immediatamente i tuoi cari. La partecipazione delle persone a questi incontri è totale, è come un esperimento medianico».
Cosa li spinge ad abbandonare le proprie timidezze e rigidità?
«Il cerchio che si forma, dove c’è un campo morfogenico».
Le è capitato che i suoi lettori si offendessero per l’ironia che mette nelle descrizioni di certe realtà?
 «Con Lourdes ricevevo lettere inferocite di vecchie dame lombarde che mi accusavano di aver sottolineato aspetti squallidi del pellegrinaggio. Però molti mi ringraziavano per aver scoperto una esperienza che altrimenti non avrebbero vissuto».
Anche con i seguaci della psicoterapia delle costellazioni succederà la stessa cosa?
«Qualcuno mi ha detto che le costellazioni familiari “non sono così”, ma è necessario ricordare una cosa fondamentale: questo non è un saggio, è un romanzo, e nel romanzo ci deve essere la libertà del racconto…»

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