Calcutta: il Mainstream, Battisti e quei pezzi scritti «solo per litigare»

Sold-out a Ravenna per il nuovo
fenomeno del pop-rock italiano

Edoardo D’Erme viene da Latina, non ha neppure 27 anni, fa musica da quando ne ha 18 senza che se ne fosse accorto praticamente nessuno. Fino all’anno scorso, quando ha pubblicato il secondo album con il suo nome d’arte, Calcutta, e niente è stato più come prima. Ora i locali in cui suona fanno il tutto esaurito (come accadrà domani sera 16 aprile al Bronson di Madonna dell’Albero, unica data in Romagna) , le sue canzoni passano alla radio, il primo singolo ha superato la soglia del milione di visualizzazioni su Youtube. Su Facebook spopolano i meme personalizzati sulla base dei testi delle sue canzoni, parlano di lui indistintamente Jovanotti, Linus, Selvaggia Lucarelli o Pierluigi Pardo, che essendo il conduttore delle principale trasmissione calcistica di Mediaset, ha pure comprato la sciarpa di “Mainstream”, quella che campeggia sulla copertina del suo ultimo disco

E così la sciarpa di Calcutta esiste, è vera.
«Sì, ancora non credo che ne stiano producendo di false».

E come ti è venuta quella copertina?
«Quello con la sciarpa è il mio amico Gaetano (come il titolo del primo pezzo dell’album, ndr), è stata un’idea dei ragazzi di Bomba (Bomba Dischi, l’etichetta romana che ha prodotto il disco, ndr)».

Da dove nasce invece il titolo “Mainstream”, che letto oggi sembra quasi una dichiarazione d’intenti?
«Ho detto talmente tante bugie rispondendo a questa domanda, in questi mesi, che sinceramente non ricordo più la verita. Forse sono stati sempre i ragazzi di Bomba, forse invece ci ho pensato mentre stavo scrivendo i pezzi, che avevano un sapore così, un po’ più radiofonico rispetto a prima».

Ecco, parlando di musica, il tuo primo album di ormai quattro anni fa, “Forse”, è sicuramente diverso. Ma in quelle canzoni registrate male e senza alcuna voglia di essere mainstream, riascoltate oggi, mi sembra ci sia anche il Calcutta di “Mainstream”…
«Può essere, sì, ci può stare se vuoi dire che è come se gli avessi cambiato vestito…».

I pezzi del tuo ultimo disco sono nati con questa intenzione? Di cambiare pelle?
«Volevo fare appunto qualcosa di più radiofonico, ma le canzoni mi sono uscite naturali».

C’è qualcuno o qualcosa che ti ha ispirato particolarmente?
«Mentre scrivevo l’album mi sarebbe piaciuto riuscire a comporre con lo stile di Conor Oberst (il cantautore folk-rock americano del progetto Bright Eyes, ndr), un flusso unico di musica e parole, con il suo trasporto. Poi c’erano altri che mi avevano influenzato, ma me li sono dimenticati…».

I cantautori storici italiani che spesso vengono tirati in ballo per parlare del tuo ultimo album, invece? Rino Gaetano?
«Non li ho mai ascoltati tanto, in realtà. Magari un po’ Battisti…».

E la storia che saresti un fan di Cesare Cremonini? È vero che suonavi sue cover?
«Massì, lui è bravo secondo me, facevo queste serate con le basi da karaoke, un po’ tutti ubriachi, io cantavo le sue canzoni, il pubblico strillava: tutto molto divertente…».

Ma tu che hai suonato per tanti anni davanti a poco pubblico, com’è oggi fare concerti in locali sold out, davanti a mille persone?
«Figo, sì è figo. Certo, anche più stancante. Io pensavo di fare un tour solo con tastiere e invece abbiamo messo su una band per cercare di riempire lo spazio di questi palchi improvvisamente grandi, senza troppo tempo per organizzarci».

Ti aspettavi questo successo?
«No».

Ora, oltre che amato, sei però anche odiato, come capita spesso a chi ha anche solo qualche minima forma di successo nella scena indipendente italiana…
«C’è perfino chi mi amava perdutamente e poi dopo un paio di settimane ha iniziato a odiarmi. Per alcuni rappresento davvero tutto il male del mondo. Un musicista, anche piuttosto famoso, non ricordo il nome però, ha invitato su Facebook ad ascoltare George Harrison, non “quella merda di Calcutta”. Cioè, non ti fa ridere? Che c’entra George Harrison? Comunque l’importante è non prendersela, che altrimenti fai il gioco loro. Fortunatamente io non riesco a prendere sul serio quello che faccio, cioè suonare, che altrimenti poi si distorcerebbe la realtà».

Qual è invece la realtà che racconti nelle tue canzoni?
«Mah, i testi nascono a caso, sulla base dei cazzi miei, le persone coinvolte si contano su tre dita, cerco di usare un linguaggio molto confidenziale. Stop. Ho letto che i critici hanno scritto di testi generazionali, che parlano a tutti, non saprei. Certe volte quando mi intervistano sulle interpretazioni dei miei testi mi verrebbe da buttare giù il telefono, non immagini la rottura di coglioni…».

Almeno però fammi domandare se ti interessa la politica: nei testi te la prendi con alcuni santini della sinistra come Celestini, e poi parli di svastiche, di campi rom in fiamme…
«No, non mi interessa. Quelle cose le ho scritte perché la mia ex fidanzata era di quella sinistra radical chic, “ma era solo per litigare” (ride, avendo volutamente citato un passaggio della sua canzone, “Gaetano”, ndr), una sorta di gioco…».

Lo sai che ora comporre il tuo prossimo disco sarà molto, ma molto, complicato con tutta l’attenzione che hai addoso? Ci hai mai pensato? Ci stai già lavorando?
«Ogni tanto sì, ci ho pensato. Sarà più difficile ma non impossibile, dai. Sono anche un po’ più incentivato. Poi quando ci penso mi dico anche che al massimo la cosa più brutta che potrebbe succedere è che potrebbe fare schifo alla gente. Me ne farei una ragione…».

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