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    Categoria: cultura

La nuova direzione della cultura

Dalla Classense al Mar fino alle convenzioni, parla il dirigente Maurizio Tarantino: «Il mio ruolo non è riempire gli alberghi»

È ufficialmente in servizio dal 13 marzo e di uffici ne ha ben tre, segno plastico della vasta e variegata materia di cui è chiamato a occuparsi. Maurizio Tarantino, classe 1961, napoletano con un importante curriculum tra la città partenopea, Roma e Perugia nell’ambito in particolare della biblioteconomia e delle lettere, è stato prescelto dal sindaco Michele de Pascale nella terna selezionata dall’apposita commissione per diventare dirigente alla Cultura del Comune di Ravenna nonché direttore della biblioteca Classense. Lo incontriamo qui, in uno di quei tre uffici tra cui dovrà dividersi (gli altri due hanno sede al Mar e a Palazzo Rasponi).

Direttore, si sta ambientando? Quali sono le prime impressioni?
«Che dire? La città è bellissima e sto innanzitutto constatando la grande competenza di chi lavora sia qui in Classense, sia negli altri servizi e questo per me è di grande conforto. C’è da fare tanto, ma sicuramente non si tratta di partire da zero».

Cominciamo dal suo ruolo di direttore della Classense. Qual è la sua idea di biblioteca? Quanto deve essere luogo di conservazione e quanto invece soggetto attivo e promotore di iniziative che portino i cittadini a frequentarla?
«È un tema molto complesso su cui sto lavorando da tempo perché mi si è posto in modo molto impellente e concreto a Perugia, alla biblioteca Augusta, che aveva problemi simili. Come può evolvere una biblioteca storica e civica? Da un lato c’è bisogno di intervenire perché l’evoluzione naturale le porterebbe a diventare monumenti del passato, dall’altra parte è fondamentale che si continui a conservare il patrimonio. Qui per fortuna c’è sicuramente un gruppo di lavoro che fa in modo che la conservazione avvenga nel modo migliore. Dall’altra parte c’è però anche la necessità che la biblioteca si apra alla città. Come farlo? Io credo che bisogna inanzitutto premettere che questa è una biblioteca comunale, non è l’Università e quindi non possa e non debba fare l’Università. Immagino eventi di alto profilo, ma accessibili da un pubblico vasto, direi di alta divulgazione. Secondo me non esiste un oggetto, dal codice miniato al manoscritto, che non possa essere comunicato a un pubblico vasto. Questo è il compito di una biblioteca».

Partendo dal patrimonio della biblioteca? Non immagina quindi la Classense promotrice di eventi o festival in città?
«Dobbiamo partire da quello che abbiamo e penso non solo al patrimonio librario, ma anche dalla sua storia, da chi l’ha frequentata. Ci sono altri enti e altre istituzioni che chiamano autori e svolgono attività importanti. Sono quindi favorevole a qualsiasi tipo di aperture considerando però che qui io mi sento direttore della Bibilioteca Classense ma mi sento anche, perché lo sono, dirigente delle attività culturali. Il mio obiettivo è fare in modo che la proposta culturale di questa città sia ampia, ricca, ma anche armoniosa, se sono bravo si potranno evitare sovrapposizioni. Se non lo sono, sono a tempo determinato…»

Ecco, il fatto di avere un contratto per tre anni rinnovabile per due non è limitante rispetto a un’istituzione secolare?
«Io sono favorevole al tempo determinato, la trovo una cosa sana che può evitare ingessature. Penso che nelle istituzioni culturali ci debba essere un nucleo forte e stabile di funzionari che garantiscono appunto il funzionamento dell’istituzione, ma il dirigente deve essere misurato. Poi, se ci piacciamo a vicenda sono disposto a stare qui fino alla pensione e pure dopo…»

Lei è stato direttore a tempo determinato a Perugia mentre governava il Pd ed è stato sostituito dopo le elezioni. In rete è facile trovare appelli dei suoi collaboratori affinché lei restasse al suo posto…
«Ci tengo solo a dire che in quel caso come in questo ho partecipato a un concorso e sono stato scelto e chiamato da sindaci e amministratori che non conoscevo prima… Ci ho lavorato sei anni e mezzo ed è normale che si sia creato un clima di collaborazione con i colleghi».

Quindi lei a Ravenna non conosceva nessuno? Non ha mai frequentato la città?
«Sono venuto varie volte per lavoro, negli anni Novanta, perché la Rete interbibliotecaria di Romagna per noi a Napoli era un modello e ho avuto modo di visitare un po’ la città. Ho avuto contatti via mail con colleghi, nient’altro».

Lei ha una carriera da bibliotecario, mentre qui dovrà occuparsi anche di altro, a cominciare, per esempio dal Mar. Quale sarà il suo ruolo? Farà anche il direttore artistico?
«Sì, è vero, ho diretto la biblioteca crociana a Napoli e l’Augusta, ma ho sempre condotto parallelamente anche attività di studio come italianista e ricercatore. E in particolare per tre anni a Napoli ho seguito un progetto da 15 milioni di euro che partiva della regione Campania, di cui ho curato la progettazione esecutiva e la direzione scientifica. Era un progetto dal taglio molto trasversale che metteva insieme musei, archivi, realtà varie, contenuti culturali di provenienze diverse con venti progetti pilota. Quindi, ecco, non mi sento un novellino. Per quanto riguarda il Mar credo che il mio ruolo ovviamente non dovrà essere quello di direttore artistico, non voglio fare il direttore vecchio stile, né lì né qui, in Classense. Io darò le coordinate, ovviamente d’accordo con l’amministrazione, dirò come secondo me è meglio che si faccia una determinata cosa, ma dopodiché saranno le persone che ci lavorano a portare avanti i progetti. Il mio compito è creare un’organizzazione che faccia funzionare in modo armonioso la vita culturale di questa città e far lavorare bene le persone. Poi io qualche competenza specifica ce l’ho. Per esempio su Dante non mi pare di aver visto in città qualcuno che ne sappia più di me, allora magari sul fronte dantesco mi ci spendo in prima persone, ma sarà un’eccezione».

Quindi per esempio immagina che avremo direttore artistici temporanei per le mostre?
«Certo, assolutamente lì si tratterà di fare bene la scelta, di correggere eventuali cose che non vanno. Mi vedo più in un ruolo di organizzatore e facilitatore dell’esplosione delle competenze».

Un’altra partita importante di cui dovrà occuparsi è il sistema delle convenzioni con soggetti che si occupano di musica, teatro, danza, e varie altre forme culturali, ormai in scadenza. La convince come meccanismo?
«È uno di quei temi molto delicati perché chiamano in gioco da un lato la vita quotidiana delle persone che ci lavorano e dall’altro i soldi dei cittadini, Ci sto lavorando, su questo non posso dire nulla al momento».

In campagna elettorale moltissimo si è parlato di criteri oggettivi da introdurre.
«È chiaro che come dirigente non posso che essere felice se verranno istituiti criteri oggettivi. Ma cosa è oggettivo? Le presenze? I biglietti staccati? O la qualità delle cose fatte? E la qualità come si misura? La cultura è misurabile, ma non è facile, perché le cose reali non sono solo soldi e numeri: in una mostra, per esempio, contano i biglietti staccati, ma anche l’elenco delle pubblicazioni del curatore».

Dipende anche da che obiettivo si pone un evento culturale. Deve essere anche un traino turistico? In passato il dirigente per Cultura e Turismo era il medesimo, ora lei invece si deve occupare solo di cultura. Quindi, un po’ provocatoriamente le chiedo: la capacità di attrarre turisti degli eventi non è un problema suo?
«A una domanda così provocatoria non posso che rispondere che ovviamente mi pongo il problema. Ma è altrattanto vero che io non devo riempire gli alberghi, c’è un altro dirigente che se ne occupa. E secondo me sarebbe bene che chi si occupa di attività turistiche fosse in grado di sfruttare al meglio gli eventi culturali della città. Il flusso lo vedo in questo senso e non vedo un flusso contrario. Questo non significa che chi si occupa di cultura non deve pensare ai numeri dei flussi turistici. Prendiamo le mostre bibliografiche: secondo me o sono a costo zero e pensate per chi frequenta la biblioteca, oppure per la mostra bibliografica devo avere 500mila euro da spendere e allora arrivano anche gli americani a vederla. L’evento culturare di alta qualità può attrarre frotte però va gestito e serve qualcuno che se ne occupi. Io il problema per conto mio ce l’ho presente, il Comune è uno solo e bisogna che ci sia un po’ di armonia, la cultura deve lavorare con turismo e tutti gli altri settori».

Come giornale siamo stati tra i primi a lanciare l’allarme per la biblioteca Oriani a corto di fondi dopo i tagli di Provincia e Fondazioni. Che futuro immagina per quella biblioteca?
«Ho un legame particolare con Alfredo Oriani che molti non sanno fu scoperto proprio da Benedetto Croce (di cui Tarantino è studioso, ndr), ho scambiato moltissime pubblicazioni e mail con persone della Fondazioni Oriani pure senza averli mai conosciuti di persona. Detto questo, l’Oriani appunto è un ente indipendente e non sono io a sedere nel cda per conto del Comune. Ma se mi verrà chiesto un parere, posso esprimere una mia idea che viene da lontano: la biblioteca Oriani potrebbe diventare una delle più importanti biblioteche di storia contemporanea in Italia, soprattuto per il periodo che va dai primi del Novcento al Fascismo».

Non lo è già?
«Ne ha le potenzialità ma non assolve a questa funzione. Io immagino un’operazione a costo zero per il Comune che la trasformi in una biblioteca di ricerca e non più in una biblioteca pubblica, lasciando magari aperte le sale studio. In questo senso sarebbe possibile stringere un rapporto con la Classense che c’è, ma va migliorato. E penso soprattutto a un rapporto molto stretto con l’Università. Ma ripeto, non starà a me decidere».

E per gli orari della Classense e delle biblioteche decentrate?
«Mi piacerebbe pensare a un ampliamento, ora vedremo, magari ottimizzando le risorse».

Nelle biblioteche ci sono molti lavoratori in appalto a cooperative: sa quanti sono e quanto gaudagnano? E per lei questo è un problema?
«Anche su questo tema sto lavorando e non ho numeri precisi, anche per le diverse forme contrattuali utilizzate, in fondo sono qui da cinque giorni. Finora ogni giorno sono andato a sorpresa, senza farmi annunciare o accompagnare, in tutte le biblioteche decentrate, mi manca solo Piangipane, anche per avere un contatto molto diretto con i colleghi. Non so ancora quanto guadagnino ed è un tema su cui mi riservo di lavorare perché è fondamentale; ormai le istituazioni culturali funzionano così. Inutile rimpiangere i tempi in cui erano tutti dipendenti, quando c’erano poi anche tanti eccessi. Credo sia meglio che il numero di dipendenti sia congruo per dirigere e coordinare una serie di attività. È anche un modo per ringiovanire il personale e penso che le cooperative siano una grande ricchezza per le biblioteche e per le istituzioni culturali».