Jonathan Coe chiude ScrittuRa: «L’identità nazionale è personale e stratificata»

Con il suo Middle England ha raccontato il Regno Unito ai tempi della Brexit, una scelta «irrazionale che per alcuni è diventata un feticcio»

Coe

Jonathan Coe alla Classense (foto Marco parollo)

All’insegna dell’understatement, Jonathan Coe è arrivato (per la prima volta nella sua vita) a Ravenna e ha incontrato il folto pubblico accorso alla biblioteca Classense, complimentandosi innanzitutto per la magnifica città.

Firma Copie

Fan in fila per una firma di Coe (foto Parollo)

Una chiusura davvero in grande per il festival ScrittuRa con uno degli autori inglesi più letti e amati in Italia (e non solo), un autore capace di trasformare la cronaca in una “storia sentimentale” per metterci in condizioni di capire cosa si prova durante un determinato periodo storico. E dopo gli anni Settanta, dopo l’Iraq, questa volta il grande tema è la Brexit. E se all’inizio dell’incontro cerca di convincerci che scrive solo per se stesso, per una spinta che sente da quando aveva 7 o 8 anni e che per lui scrivere significa innanzitutto dare una forma alla sua vita, ben presto viene fuori l’autore che conosce e maneggia sapientemente e con profonda consapevolezza tutti gli strumenti del mestiere e scrive per essere letto dal maggior numero di persone possibile. Il suo personale modo di colmare il gap tra la “metropolitan liberal élite” (quelli che noi potrebbe definire intellettuali o radical chic, tema che allo ScrittuRa si è affrontato in un altro bell’incontro con l’autore Giacomo Papi) e il cosiddetto “popolo”.

Coe FirmaUna chiacchierata sulla Brexit su cui Coe esprime un giudizio negativo nettissimo, «irrazionale e che per alcuni è diventato un feticcio», un tema che lo scrittore ha scelto dopo aver visto la figlia maggiore piangere, all’alba di quel mattino del 2016 quando gli inglesi si scoprirono in maggioranza a favore del leave. Un tema che si è innestato sulla voglia dello scrittore di riprendere personaggi lasciati quindici anni fa (tra cui Benjamin che ha definito «il mio autoritratto comico«): «Per me ritrovare i miei personaggi è come incontrare vecchi amici dell’Università. La verità è che per me molti di questi miei “amici immaginari”, come li chiamano nella mia famiglia, sono persone più reali di quelle che incontro nella vita reale». Ed è un po’ ciò che accade ai lettori affezionati che lo seguono da anni.

Ma questo Middle England, ci dice, ha a che fare anche con un altro (divertentissimo) libro: Expo 58. Cioè ha a che fare con la costruzione di un’identità nazionale. «Io mi sento molto inglese e mi sento molto europeo. Quel referendum ci ha posto di fronte a una scelta binaria, se essere l’uno o l’altro. Ma io sono e voglio essere entrambi, come tanti altri». Ma cosa significa essere inglese oggi? La risposta di Coe si applica perfettamente anche a qualsiasi altra identità nazionale, magari meno strutturata di quella britannica: «Oggi ognuno ha il suo modo di vivere la sua “britannicità” o “italianità”; le identità sono sempre più complesse e stratificate». E quando gli chiediamo, a proposito di identità e stratificazioni, se il linguaggio politically correct possa diventare un limite ci risponde: «Sono piuttosto favorevole a un linguaggio politically correct, perché siamo sempre tutti liberi di dire ciò che vogliamo. Non siamo liberi di offendere qualcuno senza venire per questo criticati e attaccati».

Coe ClassenseLinguaggi, complessità e stratificazione sono state del resto due parole che possono ben descrivere l’intero festival diretto da Matteo Cavezzali, ScrittuRa, che ha affrontato temi difficili e non banali chiaccherando con scrittori, filosofi, giornalisti, musicisti, attori in tempi in cui orientarsi è sempre più difficile e che si era aperto, proprio a proposito di Europa, in sala Muratori (anche in quell’occasione un po’ troppo piccola per la gente accorsa) con Paolo Rumiz.

L’edizione 2019 è finita, ma il direttore ha già dato appuntamento a tutti per l’8 settembre con una grande sorpresa. E considerando i nomi che sono arrivati finora in città (tra cui quello di Peter Cameron e Lisa Halliday, solo per stare ai più recenti), c’è da aspettarsi davvero di tutto, o quasi.

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