“Corpo a Corpo”: una mostra per raccontare la bellezza della fragilità umana

Nel giorni della Trilogia l’Alighieri si fa museo ed espone, dal foyer alla galleria, le opere di dicassette giovani artisti dell’Accademia di Belle Arti

Attrazione Di Andrea Mandalari

“Attrazione” di Andrea Mandalari

Quest’anno, in occasione della Trilogia d’autunno, il teatro Alighieri ospita per la prima volta nella sua storia una mostra d’arte all’interno della propria struttura.

“Corpo a Corpo” si compone delle opere di diciassette giovani artisti dell’Accademia di Belle Arti che hanno reintrepretato il tema della corporeità nella sua accezione più concreta, imperfetta e fragile. Le creazioni sono state collocate in spazi inconsueti e, per così dire, “dimenticati” della struttura, come corridoi, nicchie e camerini.
Si tratta per lo più di sculture, ma anche di disegni e fotografie, portatrici di una riflessione personale, spesso dolorosa, sull’involucro di carne e ossa che ci protegge e allo stesso tempo imprigiona.
In Chemio. Primo ciclo, ad esempio, Anna Agati fa della sua paridolìa, ovvero la capacità di vedere oggetti o figure antropomorfe nella forma casuale, uno strumento artistico e catartico. Così, i capelli che cadono a causa della malattia riprendono vita immortalati sul bianco pavimento di una doccia: brandelli di un corpo fragile e allo stesso tempo resiliente.

I Sette Peccati Capitali Giovanni Delvecchio

“I sette peccati capitali” di Giovanni Delvecchio

Diverse le opere che celebrano il legame dell’uomo con la natura, come Fermata di Yuyu Zhao, Essere Albero di Jennifer Lagorio e Foresta umana di Lorenzo Scarpellini, mentre Manuela Flamigni, in La testa sotto il volto, indaga la dimensione astratta separando il volto, inteso come maschera, dalla testa, dove si cela l’urlo dell’inconscio.
C’è chi gioca con il tema della deformazione del corpo, lacerandolo in brandelli aggrovigliati come Giovanni Delvecchio in I sette peccati capitali o, nel caso di Never Give Up di Silvia Pasi, facendogli compiere azioni estreme, inumane. In alcune opere il tema della fragilità è trasferito al supporto materiale: Alexandra Miteva si richiama ai graffiti primitivi nei suoi Ricordi, Rebecca Fornaciari copre con il gesso i volti ritratti in una fotografia: è la metafora del silenzio, «una rarità all’interno di una società che ti obbliga ad esporti».

L’Attrazione di Andrea Mandalari è un corpo che svanisce verso l’alto mentre è trattenuto a terra da una pietra, mentre Arianna Zama (Appunti per un reliquiario) riproduce la «conservazione rituale di chi non c’è più da parte di chi resta» .

E poi ancora gli Spazi Vitali di Daniela Guzzinati, il Senza titolo di Luca Cavicchi, Organi Vegetali di Lia Maggioli e i lavori a penna di Antonluca Cavicchia, che in Un ottico (I e II) si rifà al brano di De Andrè per raffigurare un mondo visionario visto attraverso lenti speciali.

Chiudono il ciclo Jessica Mascia con Sfuggente e Matteo Drudi conPreghiera , entrambi presenti nel foyer. Il libro-scultura di Drudi, essendo utilizzato anche come oggetto di scena, sarà esposto solo quando non sarà rappresentata Norma.

La mostra, curata da Maria Rita Benini e Nicola Cucchiaro, è aperta agli spettatori nei giorni della trilogia e in due date straordinarie: lunedì 4 novembre (14.30–19.30) e domenica 10 novembre (10–13).

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