Una guida di approfondimento sul percorso allestito al piano nobile della Classense fino al 10 gennaio
Inclusa est flamma (la fiamma è all’interno) è la prima mostra ad aprire il progetto espositivo su Dante – ideato e organizzato dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Ravenna, dal MAR e dalla Biblioteca Classense – che prevede l’apertura di tre esposizioni durante le celebrazioni del settimo centenario della morte del poeta.
Proprio nell’ex convento camaldolese si è aperta la prima delle mostre che tiene insieme vari fili concentrati sulla storia celebrativa di Dante nel corso del ‘900 in rapporto alla città di Ravenna, in particolare le celebrazioni avvenute nel 1921.
L’allestimento al piano nobile della Classense presenta quindi una serie di teche contenenti libri, edizioni rare – in particolare si segnalano i testi editi da Olschki – insieme a traduzioni in numerose lingue della Commedia oltre a progetti, disegni, lettere, autografi, illustrazioni ma anche oggetti e piccoli modelli.
Sono visibili inoltre immagini fotografiche, manifesti, dipinti e uno schermo di proiezione per un film a soggetto dantesco, tutti realizzati fra l’unità d’Italia e il primo Novecento.
Il senso diacronico della esposizione curata da Benedetto Gugliotta si apre poco dopo l’unità d’Italia con alcuni dei quaderni utilizzati per le firme dei visitatori alla tomba del poeta: fra le tante colpiscono i numerosi visitatori che nel 1863 vengono dalla Francia, da Londra e New York per dare testimonianza del loro omaggio. Ci sono anonimi ravennati come Emilio Turchini che in un italiano faticoso pone la sua firma poco sotto a quella del pittore milanese Federico Faruffini, uno dei più famosi rappresentanti della Scapigliatura. Perfetti sconosciuti o intellettuali di fama sentono forte il richiamo del poeta che a metà dell’Ottocento gode ancora del successo a lui attribuito dal Romanticismo europeo e dal Risorgimento italiano.
Dopo l’unità d’Italia, la fama di Dante non tramonta: se la lingua letteraria italiana ormai è cosa fatta, è l’idea dell’Italia come patria condivisa che ancora deve decollare. Si va dunque alla ricerca delle radici: per motivi di grandezza letteraria, per il riconoscimento che gli è attribuito da vari decenni e per la biografia drammatica di esule, Dante incarna con successo uno dei massimi padri della patria appena costituita.
Alla fine del XX secolo la questione dell’identità nazionale è ancora viva e pulsante: in mostra è presente un modellino in bronzo dello scultore fiorentino Cesare Zocchi del monumento al poeta eretto nel 1896 a Trento, città a quella data ancora sotto l’Impero austroungarico. Citando il pensatore di Rodin e manifestando la disperazione di uomini e donne che si rivolgono al grande esule, la scultura manifesta apertamente il clima di irredentismo che aleggia sulle terre della Venezia Giulia.
Il secondo nucleo della mostra classense si concentra quindi sul 1908, quando la Società Dantesca Italiana – fondata a Firenze appena 30 anni prima da personaggi del calibro di Carducci, Villari e Cantù – organizza le Feste dantesche con il coinvolgimento di Roma e di Ravenna.
A poca distanza dalla fine della I guerra mondiale, viene a scadenza il sesto centenario della morte di Dante: è il 1921 e di nuovo Roma, Firenze e Ravenna programmano in comune le celebrazioni affidate per la comunicazione al bel manifesto in mostra di Galileo Chini, famoso per l’attività grafica e pittorica in ambito simbolista e Liberty. Pochi tratteggi in bicromia presentano la figura del poeta che offre il “Poema Sacro al quale ha posto mano cielo e terra” affiancata da un testo a lato – del tutto inedito – che sintetizza le date delle celebrazioni. Altrettanto curioso è il busto del poeta realizzato da Alfonso Borghesani che potrebbe restituirci le vere fattezze di Dante, tema di una querelle che alimenta ancora adesso il panorama editoriale. Borghesani infatti si basò per l’esecuzione sugli studi dell’antropologo Fabio Frasetto che aveva avuto modo nel 1921 di analizzare le spoglie mortali in una storica ricognizione dei resti del poeta.
Ma il secolo nuovo ha bisogno di linguaggi moderni: nel 1921 viene quindi realizzato La mirabile visione, un film sulla vita di Dante e la sua opera per la regia di Caramba (Luigi Sapelli) di cui in mostra vengono proiettati tre estratti. Nonostante qualche difficoltà di visione nell’allestimento, la proiezione permette di apprezzare la grande attenzione ai dettagli, alle stoffe, alla messa in scena del regista, costumista, scenografo italiano, maturata grazie ad una lunga esperienza in campo teatrale e operistico.
Oltre ad una piccola sezione fotografica che rende in breve l’omaggio dei primi fascisti alla tomba del poeta – una sorta di prova d’autore della prossima e infelice marcia sulla capitale – si notano nell’allestimento i tre sacchi progettati da D’Annunzio e donati a Ravenna nello stesso anno. Riempiti di foglie di alloro e decorati da De Carolis con tralci di vite, stelle, corone col motto che dà il titolo alla mostra attuale, vennero consegnati da tre aviatori che avevano condiviso col Vate le spedizioni di Fiume e Vienna. Ancora in buono stato di conservazione, i sacchi possiedono per volontà del loro creatore un inalterato valore simbolico ma sono anche straordinariamente vicini all’arte contemporanea.
“Inclusa est flamma. Ravenna 1921: il secentenario della morte di Dante”; fino al 10 gennaio, Biblioteca Classense, Ravenna; orari: martedì-sabato 9-18 (chiuso lunedì e festivi).