Le riflessioni di una storica dell’arte sul monumento realizzato negli anni 1780-81 in memoria del letterato
Riceviamo e volentieri pubblichiamo una riflessione sul progetto dell’architetto Camillo Morigia per il sepolcro di Dante Alighieri, scritto da Costanza Fabbri, storica dell’arte specializzata alla scuola di specializzazione in beni storico-artistici dell’Università di Bologna, dottore di ricerca in Storia dell’Arte (arte ravennate del Cinque-Seicento) all’Università di Ferrara e docente di ruolo al liceo classico di Ravenna. Fabbri insegna anche alla scuola di formazione teologica San Pier Crisologo per lezioni di specializzazione per le guide di Ravenna e per gli addetti della curia.
IL SEPOLCRO DI DANTE E LA VISIONE ESCATOLOGICA DEL PROGETTO DI MORIGIA
Il sepolcro di Dante, progettato e fatto eseguire dall’architetto Camillo Morigia (Ravenna, 1743-95) tra gli anni 1780-81, secondo i modi architettonici dello stile neoclassico, condensa in sé due tipologie architettoniche di derivazione pagana: il tempio e l’arco trionfale; se il primo viene evocato dalla presenza del timpano sormontante l’entrata, il secondo viene proiettato in facciata, ad incorniciare la porta di accesso, a sua volta protetta una mensola sostenuta da volute, in linea con la tradizione architettonica già codificata nella Toscana del Quattrocento da architetti come Leon Battista Alberti e Filippo Brunelleschi, e poi recuperata dagli architetti neoclassici, a partire da Giuseppe Piermarini nella facciata della Villa Reale di Monza e del teatro alla Scala.
Nel progettare il tempietto funerario in memoria di Dante Alighieri, Camillo Morigia, da diligente architetto neoclassico, volle citare altri simboli funerari caratteristici della cultura classica, come nel caso dei bucrani alternati ai drappi che decorano la trabeazione a mo’ di fregio: un motivo, questo, già visto nell’Ara pacis augustae, laddove la decorazione a bassorilievo intendeva riprodurre veristicamente le decorazioni che ornavano gli antichi recinti sacri all’epoca delle origini di Roma, quando i templi ancora non esistevano e gli altari erano luoghi dediti ai riti sacrificali. Il tema dei bucrani intende dunque riallacciarsi alla cultura funebre dell’antica Roma, raccordando in un disegno di continuità e contiguità la tradizione pagana con quella cristiana, in linea con la poetica letteraria e filosofica dello stesso Dante, che nella sua visione tolemaica e neoplatonica dell’universo fu in grado di armonizzare il passato classico con il presente cristiano.
Non è pertanto un caso che a Ravenna l’immagine della pigna sormonti un altro celeberrimo mausoleo, quello dedicato a Galla Placidia e risalente al V secolo. Ma Camillo Morigia non è un architetto del V secolo, bensì neoclassico: nel sepolcro dantesco, dunque, la pigna non sormonta più 2 un tetto a falde come nel mausoleo dell’imperatrice bizantina, ma una cupola di gusto classicheggiante, ribassata come quella del Pantheon romano e illustrata nel De Architectura di Vitruvio, il quale, con Leon Battista Alberti e Gian Battista Piranesi, guidò le scelte costruttive di Morigia, nell’entusiastica direzione di un riabbellimento neoclassico della città di Ravenna.