Il sepolcro del Sommo Poeta e la visione escatologica del progetto di Morigia

Le riflessioni di una storica dell’arte sul monumento realizzato negli anni 1780-81 in memoria del letterato

Riceviamo e volentieri pubblichiamo una riflessione sul progetto dell’architetto Camillo Morigia per il sepolcro di Dante Alighieri, scritto da Costanza Fabbri, storica dell’arte specializzata alla scuola di specializzazione in beni storico-artistici dell’Università di Bologna, dottore di ricerca in Storia dell’Arte (arte ravennate del Cinque-Seicento) all’Università di Ferrara e docente di ruolo al liceo classico di Ravenna. Fabbri insegna anche alla scuola di formazione teologica San Pier Crisologo per lezioni di specializzazione per le guide di Ravenna e per gli addetti della curia.

Tomba Di Dante Dopo Restauro

Uno scorcio della tomba di Dante dopo il restauro, in una foto postata da Danilo Dassani su Facebook

IL SEPOLCRO DI DANTE E LA VISIONE ESCATOLOGICA DEL PROGETTO DI MORIGIA

Il sepolcro di Dante, progettato e fatto eseguire dall’architetto Camillo Morigia (Ravenna, 1743-95) tra gli anni 1780-81, secondo i modi architettonici dello stile neoclassico, condensa in sé due tipologie architettoniche di derivazione pagana: il tempio e l’arco trionfale; se il primo viene evocato dalla presenza del timpano sormontante l’entrata, il secondo viene proiettato in facciata, ad incorniciare la porta di accesso, a sua volta protetta una mensola sostenuta da volute, in linea con la tradizione architettonica già codificata nella Toscana del Quattrocento da architetti come Leon Battista Alberti e Filippo Brunelleschi, e poi recuperata dagli architetti neoclassici, a partire da Giuseppe Piermarini nella facciata della Villa Reale di Monza e del teatro alla Scala.

Sopralluogo Tomba DanteLo stemma che sormonta la mensola ci ricorda che il sepolcro fu voluto dal cardinal legato in Romagna Luigi Valenti-Gonzaga (un ramo locale dei più celebri parenti mantovani), a perenne memoria ed eterna gloria, come si evince dalle decorazioni in foglie di quercia (pianta simbolo di forza e robustezza, sin dall’antichità) e dalla presenza dell’iconografia del Tempo-Padre Eterno. Una sorta di ambivalente iconografia, quest’ultima, a metà strada tra il concetto pagano del Tempo (rappresentato secondo le indicazioni seicentesche di Cesare Ripa come un vecchio alato, a ricordare che «il tempo vola», anche se troviamo immagini del Tempo alato anche in dipinti precedenti all’Iconologia di Ripa, come nel caso della Venere e Cupido di A. Bronzino, solo per citare un esempio) e quello cristiano del Padre Eterno, Colui che tutto governa, da cui tutto nasce e a cui tutto ritorna.

Mattarella De Pascale Dante Ecco che allora l’immortalità viene auspicata in questo sepolcro non solo per il Sommo Poeta, ma anche per la famiglia che a lui questo sepolcro volle dedicare, a perenne memoria; il concetto viene evocato anche dal simbolo pagano del serpente che si morde la coda, al centro del timpano: un rettile talmente squamato da ricordare le foglie dell’alloro, pianta simbolo di gloria ed eternità già nella cultura dell’antica Grecia. Quest’immagine si ritroverà, alcuni decenni dopo, in un altro celeberrimo monumento funebre, quello progettato da Antonio Canova per Maria Cristina d’Austria e conservato nella chiesa degli Agostiniani di Vienna, laddove l’imago clipeata dell’illustre sovrana viene incorniciata dal medesimo serpente, a suggello di gloria imperitura e fama sempiterna, vittoriosa sulla corruttibilità delle spoglie terrene.

Nel progettare il tempietto funerario in memoria di Dante Alighieri, Camillo Morigia, da diligente architetto neoclassico, volle citare altri simboli funerari caratteristici della cultura classica, come nel caso dei bucrani alternati ai drappi che decorano la trabeazione a mo’ di fregio: un motivo, questo, già visto nell’Ara pacis augustae, laddove la decorazione a bassorilievo intendeva riprodurre veristicamente le decorazioni che ornavano gli antichi recinti sacri all’epoca delle origini di Roma, quando i templi ancora non esistevano e gli altari erano luoghi dediti ai riti sacrificali. Il tema dei bucrani intende dunque riallacciarsi alla cultura funebre dell’antica Roma, raccordando in un disegno di continuità e contiguità la tradizione pagana con quella cristiana, in linea con la poetica letteraria e filosofica dello stesso Dante, che nella sua visione tolemaica e neoplatonica dell’universo fu in grado di armonizzare il passato classico con il presente cristiano.

Sepolcro Di DanteIl medesimo intento è ravvisabile anche nell’immagine della pigna che sormonta l’intero edificio, coronamento ultimo di questo complesso progetto architettonico ed escatologico al tempo stesso: frutto del pino, albero da sempre legato alla città di Ravenna, in diverse civiltà essa ha racchiuso in sé i significati simbolici di forza vitale e immortalità, legati al sempreverde che la genera, alla solidità del suo legno e alla consistenza della sua resina, unitamente a quelli di fecondità e forza rigeneratrice per i semi che contiene; già usata nel rito di purificazione nelle civiltà del Vicino Oriente, nel mondo greco la pigna è associata a Dioniso, dio legato ai misteri della morte e della rinascita, alla rigenerazione e alla resurrezione.

Non è pertanto un caso che a Ravenna l’immagine della pigna sormonti un altro celeberrimo mausoleo, quello dedicato a Galla Placidia e risalente al V secolo. Ma Camillo Morigia non è un architetto del V secolo, bensì neoclassico: nel sepolcro dantesco, dunque, la pigna non sormonta più 2 un tetto a falde come nel mausoleo dell’imperatrice bizantina, ma una cupola di gusto classicheggiante, ribassata come quella del Pantheon romano e illustrata nel De Architectura di Vitruvio, il quale, con Leon Battista Alberti e Gian Battista Piranesi, guidò le scelte costruttive di Morigia, nell’entusiastica direzione di un riabbellimento neoclassico della città di Ravenna.

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