Le opere d’arte più significative che Dante Alighieri ebbe modo di conoscere e vedere nei vent’anni di esilio, tra la partenza da Firenze nel 1302 e la morte a Ravenna nel 1321, influirono nel suo immaginario visivo per la scrittura della Commedia. È il percorso narrativo che anima “Le arti al tempo dell’esilio”, la mostra a cura di Massimo Medica, organizzata dal museo d’arte di Ravenna (Mar) e promossa dall’assessorato comuale alla Cultura. Dall’8 maggio al 4 luglio (mar-dom 10-19) nella chiesa di San Romualdo in via Baccarini: Giotto, Cimabue e il Trecento italiano per raccontare gli anni dell’esilio del Poeta attraversando l’Italia tra Roma, Arezzo, Verona, Padova, Bologna, Lucca, Pisa e infine Ravenna.
I prestiti, provenienti da prestigiosi musei internazionali includono alcuni dei maggiori nomi dell’arte italiana conosciuti da Dante come Cimabue, documentato in mostra dalla Madonna di Castelfiorentino dal Museo di Santa Verdiana a Castelfiorentino e dal Tabernacolo in cui sono ritratti i Santi Crisante e Abbondio proveniente dal Museo civico di Gubbio, e Giotto, suo allievo, testimoniato da fondamentali opere come Il Polittico di Badia dalle Gallerie degli Uffizi e la Madonna di San Giorgio alla Costa proveniente dal Museo Diocesano di Firenze.
Un altro capolavoro medievale proveniente dalle Gallerie degli Uffizi, è il San Francesco riceve le Stimmate del Maestro della Croce 434 e non potevano mancare testimonianze della scultura trecentesca con le opere di Arnolfo di Cambio provenienti dalle Gallerie dell’Umbria e dalla Fabbrica di San Pietro in Vaticano per raccontare gli anni sotto il papato di Bonifacio VIII, continuando con gli splendidi elementi della cintura di manifattura orafa veneta e gli elementi del copricapo di Cangrande I della Scala provenienti dai Musei civici di Verona fino alle sculture di Nicola e Giovanni Pisano provenienti dal Museo Nazionale di San Matteo di Pisa e dalla Galleria Nazionale della Liguria a Genova e agli anni ravennati con il Maestro del Coro degli Scrovegni dalle collezioni del Mar, Giuliano da Rimini dal Museo della città di Rimini e la Madonna in Trono con Bambino proveniente dal Museo del Louvre, che lo studioso Corrado Ricci ritenne essere la scultura che vegliava sopra la prima sepoltura di Dante e che per la prima volta, dopo 160 anni torna nella sua Ravenna. A chiudere il percorso la Mariegola della Scuola di Santa Maria e San Francesco dei Mercanti ai Frari del Minatore veneziano dalla Fondazione Cini di Venezia.
«Pensare che i nostri meravigliosi mosaici bizantini – afferma il Sindaco di Ravenna Michele de Pascale – abbiano influenzato ed ispirato Dante nello scrivere gli ultimi canti del Paradiso ci suscita una grande emozione e un grande orgoglio. A partire da questa riflessione abbiamo voluto ripercorrere idealmente il viaggio dell’esilio del Poeta attraverso le opere d’arte che può aver visto con i suoi occhi nelle diverse città».
Tra i prestiti più illustri quelli delle Gallerie degli Uffizi. Queste le parole del direttore Eike Schimidt: «Con due prestiti importantissimi, le Stimmate di San Francesco del Maestro della Croce 434, una delle opere più iconiche del francescanesimo e dell’arte medievale in generale, e del Polittico di Badia di Giotto di Bondone, le Gallerie degli Uffizi contribuiscono in maniera determinante a questa rassegna straordinaria sulla rivoluzione delle arti visive al tempo di Dante. Non solo. Questa esposizione affianca il prestito annuale di opere a tema dantesco dalle Gallerie degli Uffizi a Ravenna, istituito proprio in occasione del settecentenario dantesco».