«Tribuna telescopica e pavimento palco, ritrovata l’autenticità del Rasi»

L’architetto Carlo Carbone, esperto di acustica e spazialità per lo spettacolo, racconta i dettagli del progetto di riqualificazione

Cantiere RasiIl progetto del nuovo Teatro Rasi è frutto delle idee e dell’esperienza di Carlo Carbone, architetto fiorentino che, solo negli ultimi vent’anni, ha lavorato a innumerevoli progetti di acustica per lo spettacolo, tra i quali vanno menzionati almeno il Palazzetto dello sport quartiere Zen di Palermo nel 2001, il Palazzetto dello sport Auditorium Mandela Forum di Firenze e, sempre nel 2005, lo Studio X-Factor 2013, il Progetto dell’involucro interno e l’acustica della sala spettacolo del Teatro Koreja di Lecce, realizzato nel 2021. Carbone ha inoltre curato l’acustica dell’edizione 2015 degli MTV European Music Awards e di tutte le manifestazioni musicali tenute allo stadio Meazza di Milano. È con lui che ripercorriamo i lavori del cantiere che ha completamente cambiato il volto del teatro ravennate.

Architetto Carbone, qual era la situazione del Rasi quando ha iniziato a lavorarci?
«Il Rasi, fino ad ora, è stato un teatro ristrutturato negli anni ’70 con l’idea di uno spazio polivalente molto orientato al cinema (Carbone si riferisce al restauro strutturale degli anni ’60 e ’70, mentre gli interventi successivi, come quelli del 2000 e del 2007, non hanno mai interessato la sala, ndr), tanto è vero che nel progetto precedente molte soluzioni erano legate all’attività e all’attrezzatura da cinema. Di conseguenza anche l’acustica di questo spazio era un’acustica “sorda”, legata cioè a ricercare lo standard di riflessione connessa anche questa all’attività di tipo cinematografico. Quindi la nostra è stata anche la riprogettazione di uno standard che aveva delle domande di funzionalità molto precise, legate all’allestibilità teatrale».

La sua idea di spazio teatrale va però un po’ oltre quello a cui si è abituati.
«L’accezione che io attribuisco a questa allestibilità è che deve essere quasi totale, ossia che occorre avere tanta possibilità di appendere carichi dall’alto e tanta possibilità di allestire dal basso, con un pavimento che diventa nient’altro che una tavola di palcoscenico. Il palco, nella mia idea di teatro, non è solo il palco, ma è parte di un intero ambiente teatrale. Con questa ipotesi di lavoro, condivisa con l’esperienza maturata da Ravenna Teatro, ho redatto un progetto che nel risolvere questi aspetti riconfigurasse il teatro anche recuperando un po’ la sua autenticità».

Un’autenticità che risale alla chiesa del 1250 di Santa Chiara sulla quale il Rasi si è configurato.
«Infatti. A mio avviso nell’allestimento precedente non si aveva la sensazione di stare in una chiesa medievale, ma in un contenitore qualunque. Siamo partiti quindi da un lavoro di alleggerimento della struttura per riportarla alla fisica originaria. Nel far questo abbiamo verificato tutta una serie di condizioni che erano lasciate per scontate, a partire dalla statica della copertura superiore, che è stata completamente sostituita. Quella nuova è in grado di sostenere carichi accidentali, partecipa al consolidamento strutturale per l’antisismica e consente anche gli appendimenti dall’alto, assolutamente vietati prima. Questo lavoro è stato svolto dall’ingegner Franco Faggiotto, che l’ha interpretato con grande sensibilità. Vorrei sottolineare inoltre la positiva esperienza con l’amministrazione pubblica, i cui uffici, e tra questi mi piace ricordare la figura dell’ingegnere Luca Leonelli, si sono prodigati per trovare le migliori soluzioni e dare la maggiore assistenza affinché la complessità del progetto potesse avere vita. È un’esperienza rara».

Carlo Carbone

L’architetto Carlo Carbone

Parliamo della tribuna telescopica.
«La tribuna telescopica, a differenza dei sistemi in cui occorre smontare le poltrone della platea, è una trovata che rende estremamente facile recuperare il piano libero della platea. L’aumento poi della pendenza della galleria, la distribuzione diversa, inclinata, della sala, il prolungamento della scena con un proscenio, hanno praticamente portato da uno spazio in piano a uno che si restringe a V. Questo, in teatro, dà una sensazione di grande vicinanza alla scena, che è esattamente ciò che mi premeva sottolineare».

Anche la serie di nuovi pannelli acustici che vediamo ora in alto lungo le pareti ricopre un ruolo cruciale?
«Ciò che fa un architetto è dare dei tocchi a un ambiente perché arrivi a comunicare una visione di quella che è l’idea nascosta da cui si parte. Quei pannelli acustici sembrano degli anziani signori che ti guardano di sottecchi criticando ogni tua azione, quindi perfetti per la morale del teatro. Scherzi a parte, i nuovi pannelli si accordano tramite tiranti che regolano la tensione delle placche di legno incollate dietro le lamiere; è un’idea che sto portando avanti da una dozzina d’anni e che ho sperimentato per la prima volta al Mandela Forum di Firenze nel 2008, in occasione di un concerto di Orchestra e Coro del Maggio Fiorentino diretti da Zubin Mehta. Era la prima volta che un’orchestra suonava in un palazzetto senza amplificazione e andò molto bene. E la particolarità è che questi pannelli si settano tramite un gioco di fasci di luce rifratta da piccoli specchi. Si può dire che dalla luce nasce il suono!».

Usciamo ora dalla sala. Cos’è successo fuori dallo spazio scenico?
«L’ingresso è stato completamente liberato e il sotto-galleria è diventato una saletta indipendente, che può essere o una parte più ampia dell’ingresso (che prima in pratica era un corridoio) o, chiudendo la parete, un locale separato per fare spettacoli più intimi, presentazioni e quant’altro. In tutto questo va detto che Ravenna Teatro e tutti i suoi tecnici sono stati fondamentali, dei veri compagni di viaggio con cui si è condiviso tutto. Il progetto di un architetto non potrà mai essere solo il prodotto della sua mente».

Qualche problema inaspettato durante i lavori?
«Beh, vorrei sottolineare che abbiamo lavorato tra il 2021 e il 2022, un periodo che verrà ricordato nella storia per l’epidemia che tutti conosciamo, epidemia che ha complicato notevolmente la vita del cantiere, naturalmente per i contagi ma anche per l’aumento del costo dei materiali, che è raddoppiato nel giro di un paio di mesi. In tutto questo è entrato poi a gamba tesa l’effetto dell’indisponibilità di materiali e personale data dall’esplosione dei cantieri a seguito del bonus del 110%. Di guai ce ne sono stati, così come di sorprese durante la demolizione, che son sempre in agguato, ma erano stati messi in conto. Vorrei infine ringraziare e ricordare tutte le ditte coinvolte nell’opera, che si son comportate con grande afflato: CMCF Faenza, Faggiotto S.T.A.F.F., Tesco Impianti Srl, Steel Pool Cantieri, Innova Global Service, Bertelè Telescopic Tribune, Barciulli Arreda Srl».

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