Speer e Piacentini: architetture a confronto tra Roma e Berlino

Conferenza di Sandro Scarrocchia, il 21 maggio, per il ciclo organizzato a Ravenna al Salone dei Mosaici da “Tessere del ‘900”

Albert Speer, “Große Halle”, 1939

Albert Speer, “Große Halle”, modello, 1939

Una conferenza di Sandro Scarrocchia, sugli architetti Speer e Piacentini, è in programma sabato 21 maggio (inizio alle 17.30) al Salone dei Mosaici di Ravenna, in piazza Kennedy a Ravenna, ultimo appuntamento della prima parte del ciclo “Architettura e Potere”, curata da Alberto Giorgio Cassani, e e promossa dall’associazione culturale  “Tessere del ’900”, in collaborazione con l’Ordine degli Architetti.

«Se non fossi stato un imperatore, avrei voluto essere un architetto» è la famosa frase di Federico II di Prussia; «Se la Germania non avesse perso la guerra, non sarei un uomo politico ma un famoso architetto, una sorta di Michelangelo», gli fece eco, con un certo amor proprio, Adolf Hitler. Il Führer individuò nel giovane Albert Speer colui che avrebbe potuto concretizzare materialmente i suoi sogni architettonici “eternizzando”, in qualche modo, il suo corpo nel marmo e nel granito; Mussolini, che fino al 1936 non aveva scelto tra le due tendenze dell’architettura italiana, il razionalismo e il novecentismo, decise, infine, per quest’ultimo, individuando in Marcello Piacentini, colui che avrebbe analogamente edificato il volto dell’Italia fascista. Sandro Scarrocchia, docente a contratto di Storia dell’Arte al Politecnico di Milano e autore di un importante volume su Speer e Piacentini (Skyra, 1999 e 2013), ne parlerà dipanando lo stretto rapporto che ci fu tra i due architetti.

Eccone una sinossi, inviataci dall’autore: «Quali furono le relazioni in architettura fra Italia e Germania nel periodo del fascismo? l due “architetti di stato” Piacentini e Speer ebbero contatti, ricevettero precisi ordini per l’“edificazione” dell’Asse Roma-Berlino? Quale fu il contributo che essi diedero a tale imperativo politico? Dallo scavo di anni in archivi italiani e tedeschi e dall’uso filologico e originale delle fonti emerge un quadro complessivo e unitario dei rapporti intercorsi fra i due architetti negli anni Trenta. Ripercorrere la loro intensa attività progettuale, analizzarne i contenuti politico-culturali, evidenziarne il contributo alla definizione del fascismo italiano e del nazionalsocialismo tedesco, implica non soltanto tracciare un palinsesto inedito utile a colmare un vuoto della storiografia europea del Novecento, ma anche affrontare le diverse modalità con cui i due paesi, l’Italia e la Germania, guardano alla loro “eredità scomoda”. Alla ricerca di un senso nei meandri sempre più interdisciplinari e transculturali della ricezione contemporanea di quell’eredità».

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