Due anime della cristianità nella nuova “abitudine” di Claudia Castellucci

Il Ravenna Festival accoglie, il 17 giugno a San Vitale, l’opera coreografica della cofondatrice della Societas Raffaello Sanzio, che risale alle radici del canto “Znamenny”, tra Bulgaria, Ucraina a Russia.

La Nuova Abitudine

Claudia Castellucci, drammaturga, coreografa e sensibile esegeta dei ritmi ancestrali, dopo essere stata cofondatrice della Societas Raffaello Sanzio, ha orientato la sua ricerca verso il movimento con la creazione di scuole dall’impronta fortemente sperimentale come Stoa e Mòra. Ne La nuova abitudine, che porterà nel tempio bizantino di San Vitale (il 17 giugno) per il Ravenna Festival 2023, risale alle radici del canto Znamenny scandendo le distanze dal Mar Nero al Mar Baltico, dove Bulgaria, Ucraina e Russia trovano un comune denominatore nell’essere lambite dalla medesima liturgia sonora. Un antico canto ortodosso di origine greca che si ibrida con la tradizione rurale di una Russia oggi attraversata dall’indicibile violenza della guerra. Una ritmicità rigorosamente disegnata di cui Castellucci ha testato la primigenia potenza sulla propria pelle di insaziabile viaggiatrice nel tempo e nello spazio.

Quanto è determinante “l’humus culturale” ibrido a cui si riferisce quando parla della genesi de La nuova abitudine?
«I canti Znamenny rappresentano una tradizione minoritaria rispetto al canto liturgico russo più noto, austero, ricco e lussureggiante. Lo Znamenny è più sobrio, perché si fonde con l’elemento rurale bizantino e russo. L’isolamento legato alla recente pandemia ha favorito un ascolto dilatato nel tempo, affrancato da altri rumori e suoni, da cui è scaturita la base per una danza. In questo percorso ho incontrato un inciampo: la funzione specifica liturgica di questo canto, che nulla ha a che fare con la mia concezione di danza. Ma poi mi sono detta che nella condizione di isolamento in cui era importante evadere, cambiare mentalità e modo di vivere quotidianamente, è calzante, nel volere cambiare abitudine, anche fare propria una tradizione che originariamente non lo fosse. Così ho trascorso un mese a San Pietroburgo, svolgendo un seminario nella sede della musicAeterna, orchestra molto prestigiosa con cui ho avuto il grande privilegio di danzare la musica dal vivo eseguita dai coristi. Dopo il debutto anche a Roma e Torino il progetto si è interrotto a causa dell’invasione dell’Ucraina e oggi non è possibile avere i cantanti russi, anche se non sono affatto putiniani».

Come ha modi­ficato quindi l’esecuzione, senza correre il rischio di snaturare l’opera?
«È fondamentale, in questo genere di danza, che vi siano coristi dal vivo, perché ci si trasmette forza a vicenda. Un elemento che sognavo per la riuscita del lavoro era anche portare La nuova abitudine a San Vitale, perché chiude un cerchio, riunendo cultura occidentale e orientale nella tradizione bizantina, che fonde le due anime della cristianità. È significativo in questo tempo di grande divisione e separazione a causa della guerra che il canto celebri unione al di là delle armi e delle parole che, sino ad ora, sono state inutili. Angelo Nicastro ha colto la nostra proposta e a Ravenna saremo quindi con un coro bulgaro che conosce perfettamente questa tradizione».

Dove nasce la pulsione verso lo studio del movimento?
«Ha avuto origine nella parola: ho cominciato a scrivere di teatro in senso drammaturgico e teorico all’interno di un’arte in cui la platea vive lo stesso tempo di chi è sulla scena. Poi ho sentito il bisogno di accantonare il discorrere, perché mi sembrava che il tempo avesse bisogno di essere esaltato con la musica, il canto e la danza. Tutto ciò che si svolge nel tempo è ritmo e ha una struttura formata, non legata al caso. È una nuova cardiologia di pulsazioni che si forma insieme al pubblico».

Quali direzioni immagina nel futuro della sua ricerca?
«Vorrei contraddire quanto detto sino ad ora e sperimentare un movimento capace di fare a meno dello schema, perché affidato esclusivamente a immagini che sorgono nella mente. La musica sarà sempre presente, come un mare che sostiene il movimento, ma senza regole prefissate, affinché il gesto segua maglie più larghe e profonde».

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