“Levia Gravia”, la leggerezza formale della scultura

In mostra alla Fondazione Sabe le opere di Valerio Anceschi e Luca Scarabelli. La rassegna d’arte è aperta fino al 24 giugno

Levia Gravia

Sono attualmente due le presenze in mostra alla galleria Sabe a Ravenna che apre una contenuta retrospettiva dei lavori di due scultori italiani, entrambi di origine lombarda: Valerio Anceschi e Luca Scarabelli. Appartenenti a generazioni diverse ma distanziati da appena una decina di anni – Scarabelli è del 1965 mentre Anceschi nasce 10 anni dopo – i due scultori sono apparsi sul panorama nazionale rispettivamente fra gli anni ‘80 e il decennio successivo.

In mostra è presente una selezione di lavori appartenenti agli ultimi loro 15 anni di lavoro, con qualche incursione in quelli precedenti in modo da enucleare la diversa poetica delle due personalità evidenziandone anche le vene comuni. Il titolo della mostra – Levia Gravia, preso a prestito da un verso di Ovidio e dalla raccolta di Carducci – racchiude il concetto di una leggerezza formale che caratterizza tutte le sculture presenti, lontane dall’idea di monumentalità tipica di molta tradizione scultorea. Il secondo concetto suggerito dal titolo invece riconduce la scultura nella sua linea di appartenenza terrestre, nelle sue relazioni con lo spazio e la materialità, nell’attenzione che entrambi gli scultori pongono alle super­fici e alle trame spaziali possibili.

Entrando più speci­ficatamente nel lavoro di Luca Scarabelli, occorre ricreare il contesto di una produzione che comprende pittura, scultura, allestimenti, libri d’artista, video, perfomance e anche un recente intervento di arte pubblica. La multiforme versatilità dei linguaggi utilizzati dall’artista delinea alcune corde in comune a tutti i lavori quali un’attenta sobrietà formale che interseca rivisitazioni di poetiche surrealiste per il riutilizzo di objects trouvés, l’attenzione a materiali artistici storicizzati, la rievocazione di un affato ironico che resuscita le provocazioni delle Avanguardie storiche. La storia dell’arte del ‘900 è per l’artista un patrimonio a cui attingere: da Joseph Beuys – un maestro amato da Scarabelli che lo cita nel suo recente intervento di arte pubblica a Roma – trae ispirazione per un lavoro del 2006 – un cappello di feltro rovesciato ed eretto a pavimento – che riprende l’utilizzo ti pico del feltro di Beuys, eludendone però la carica eversiva politica e rimettendo in gioco al suo posto una prospettiva ironica. La bandiera di I’m sorry, I’m lost (2014) o le forbici piantate nel muro del più recente Hysteria (2022) riaccendono la vitalità degli oggetti trovati per caso, quelli che i Surrealisti credevano scegliessero le persone e non venissero scelti. Importante per questi lavori è la scelta del titolo – dal valore equiparabile alla materialità dell’intervento – proprio per i nessi immaginativi e culturali che si creano fra oggetto e apporto verbale.

Anche Valerio Anceschi divide il suo lavoro equamente fra diversi linguaggi, riducendo comunque gli interventi alla pittura, alla scultura e ad alcune incursioni nel design di gioielli. La poetica dell’artista gravita su una forte attenzione formale, sostanzialmente lirica nel segno e nelle risultanti tanto da essere inserito nel gruppo milanese dei Nuovi lirici, fondato nel 2008 dal critico e curatore Matteo Galbiati.

Le sculture di Anceschi vengono prodotte principalmente utilizzando materiali di scarto di produzioni provenienti da fonderie, che vengono poi risagomati e plasmati in opere caratterizzate da un’evidente leggerezza. Nei lavori meno recenti come Aeriforme del 2010, le grandi dimensioni e la relativa pesantezza visiva del materiale sono poste in discussione dalla levità dell’allestimento: l’opera dichiara la propria precarietà nella possibilità di muoversi nello spazio in questa sorta di traduzione portata al gigantismo degli storici mobiles di Alexander Calder. Altre volte, soprattutto per le sculture più recenti a muro come Io rinuncio (2021) o Aeriforme (2010), rigorosamente colorate nella bicromia di rosso o nero, le opere presentano una sorta di elasticità connaturata che permette al lavoro di adattarsi in posizioni e spettri spaziali diversi in altrettanti differenti spazi di allestimento.

“Valerio Anceschi – Luca Scarabelli. Levia Gravia”, a cura di Francesco Tedeschi, Sede Fondazione Sabe per l’arte (via Giovanni Pascoli 31), Ravenna, fino al 24 giugno; gio.-ven.- sab. ore 16-19, Ingresso libero.

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