Al MAG di Ravenna, tre giovani artisti e il fantastico immaginario di Montalbini

Nella galleria di via Mazzini, alla collettiva di Paoletti, M Fulcro e Pixa in corso, si è aggiunta la personale dell’artista ravennate. Visibile fino al 29 luglio

Margherita Paoletti, Opera 2023

Un’opera di Margherita Paoletti esposta al MAG

La personale di Nicola Montalbini al piano terra del MAG di Ravenna va ad aggiungersi come seconda e ultima tappa alla collettiva di altri tre giovani artisti aperta alla fine di aprile. La residenza di via Mazzini 35 è ormai un luogo di ritrovo per gli appassionati di arte contemporanea grazie agli allestimenti dei lavori nelle stanze del piano superiore, fra mobili e librerie di casa che ospitano le opere degli artisti seguiti da Alessandra Carini, curatrice della galleria.

In una stanza del piano superiore è quindi visibile una selezione di opere di Margherita Paoletti (1990), già conosciuta grazie ad altre esposizioni al MAG e in particolare al progetto di residenze artistiche “Equidistanze”, realizzato ogni anno a Filetto. Artista, illustratrice e designer, Margherita presenta un curriculum sostenuto fatto di residenze all’estero e una vita divisa fra Londra e Italia. Il suo mantra estetico punta a una concentrazione sull’interiorità fatta di eleborazioni di sogni e di un’essenzialità “invisibile agli occhi”. L’imagerie allora che nutre le sue visioni, spesso elaborate su piccole dimensione e incastonate in cornici di recupero, è composta da figure che cavalcano draghi o tigri, figure femminili distese su letti e cuori trafitti, iconografie che ricordano per espressività e segno volutamente naif i lavori di Frida Kahlo. Come la grande artista messicana utilizzava sogni, desideri e visioni interiori, anche Margherita utilizza le stesse sorgenti da cui attingere l’alfabeto visivo delle proprie opere che compongono una sorta di taccuino emotivo dei giorni.

Sempre al piano superiore, nella cosiddetta stanza rossa, sono visibili le opere di un altro artista seguito da MAG, anch’egli partecipe all’ultima edizione di “Equidistanze”. M Fulcro (1995) proviene da studi di arte condotti a Roma e Parigi: la sua formazione colta e accademica – esplicitata nelle copie precise di sculture classiche – è il substrato dei suoi interventi di Street Art ma è anche la fonte da cui nascono le piccole opere a chiaroscuro visibili in questa esposizione, a cui si aggiunge un lavoro dedicato a Dante, rivisitato secondo un immaginario pop e una vena critica, diffusa nelle nuove generazioni.

Un altro artista della scuderia è il giovane Alessandro Pixa (1991) che proviene da studi artistici a Bologna. La sua produzione spazia da interventi di Street Art alla pittura, esposta in questo caso fra primo piano e terra. Il sapore pop delle sue tele – dalle forme semplificate e dai forti contrasti di colore – è tutto in versione italiana con forti rimandi al lavoro di Concetto Pozzati, un maestro di numerose generazioni all’Accademia di Bologna.

Nicola Montalbini Autoritratto

Autoritratto di Nicola Montalbini

La recente esposizione delle opere del ravennate Nicola Montalbini (1986) conclude la mostra con un chiaro rapporto con Le città invisibili di Calvino e con Ravenna Festival che dedica l’edizione di quest’anno al testo nel centenario della nascita dello scrittore. Non a caso il quaderno-calendario del festival è illustrato dalle opere di Nicola, il cui immaginario – oscillante fra alto e basso, fumetto e citazione colta, illustrazione e rêverie – ben si adatta all’occasione. Apparentemente semplici, le immagini di Nicola si danno a una prima lettura come fantasie eccentriche e quasi parlanti per la forte espressività: così potremmo interpretare le sagome dei castelli e dei palazzi in cui si individuano bocche e occhi, barbe create dalla vegetazione; così si possono leggere gli scheletri-diavoli nella somma di edifici che costruiscono una città a piramide oppure il ghigno arcigno del Vesuvio e della bomba atomica. In poche parole si torna a quell’idea antica di spiriti che aleggiano sui e nei luoghi, una sorta di genius loci che non sono né buoni, né cattivi, ma svolgono la funzione anche distruttiva a cui sono destinati.

Visibili nelle iconografie di Nicola, i numi tutelari dei luoghi appaiono macroscopicamente come maschere animate da denti aguzzi e zampe acu- minate secondo un’espressività lampante agli occhi di un bambino. Ad una lettura più approfondita, i riferimenti alle letture molteplici dell’artista rimbalzano fra narrativa e storia, archeologia e mito, in un dichiarato collasso collezionistico di citazioni. Se il Vesuvio erutta sulla Pompei del I secolo dopo Cristo in una grottesca immagine paradossalmente allettante nei suoi colori squillanti, più sobria appare la Camelot dei cavalieri della tavola rotonda. Di nuovo magica e coloratissima è la personificazione del drago Ladone di guardia al giardino delle Esperidi mentre silenziosa fra le edere barbicanti si erge la scomparsa Porta Aurea che terminava uno dei lati del decumano di Ravenna.

Fra le opere di Nicola è presente anche un riferimento diretto alle città invisibili di Calvino: una tavola è dedicata infatti a Tamara. la prima città dei segni, in cui fra le fitte vie le insegne che sporgono dai muri riportano figure di cose che significano altre cose, come nel titolo dell’attuale mostra. In questa specie di gioco alla Magritte – dove le immagini significano oggetti ma anche recipienti o le funzioni – Calvino esplorava le relazioni fra segni e immagini, realtà e finzioni, allargando il signifcato semantico a status, denotazioni e connotazioni, particolari e interi. In questa selva di oggetti trasformati in emblemi, Calvino avvertiva Kublai Khan – suo interlocu- tore e specchio – che non avrebbe mai potuto possedere il suo impero una volta conosciuti tutti gli emblemi, ma solo trasformarsi egli stesso in emblema tra gli emblemi.

“Figure di cose che significno altre cose”. MAG, via Mazzini 25, Ravenna. Fino al 29 luglio, ven. e sab. dalle 10 alle 13 e dalle 16 alle 19.30, dom. dalle 10 alle 13.

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