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    Categoria: cultura

La straniate potenza della lingua di Testori nella voce di Sandro Lombardi

L’omaggio al Ravenna Festival del grande attore al grande drammaturgo, due artisti legati dalla passione per il teatro e le origini lombarde

L’attore Sandro Lombardi per il suo omaggio a Testori nel chiostro del Museo Nazionale di Ravenna (foto Marco Parollo)

Viene da pensare che i luoghi spesso dicono molto più delle parole: la scelta di rappresentare una lettura di stampo teatrale nel chiostro del Museo Nazionale di Ravenna ha di per sé qualcosa di sacro e di religioso. Nel centenario della nascita di Giovanni Testori, grande scrittore, giornalista e drammaturgo milanese del Novecento, Sandro Lombardi, uno dei più grandi attori italiani di oggigiorno, ha messo in scena per il Ravenna Festival i suoi drammatici pezzi Mater Strangosciàs e Gli angeli dello sterminio.

Mater Strangosciàs è stato scritto da Testori nei suoi ultimi giorni di vita ed è l’ultimo monologo dei Tre Lai, trittico di lamenti funebri di tre figure femminili: Cleopatra, Erodiade e la Madonna. In solitudine, sul palco, Lombardi legge il verbo della Vergine con una lingua inventata e folta di neologismi: la sonorità della pronuncia tende per lo più al dialetto brianzolo ma vi si intrecciano anche echi di latino, spagnolo e francese. Nonostante la lingua sia sconosciuta allo spettatore, il testo letto è piacevole da ascoltare ed emozionante.

In un’intervista Sandro Lombardi afferma: «Sono molto legato ai Tre lai, perché la preparazione è avvenuta in due momenti diversi e opposti della mia vita. Quando ho studiato Cleopatràs attraversavo un momento felice della mia vita, mentre preparavo Erodiàs e Mater Strangosciàs attraversavo invece un periodo particolarmente doloroso. Sono coincidenze che ti segnano, che quindi ti portano a preferire un testo invece che un altro per motivi assolutamente personali». Lombardi lavora come attore insieme a Testori tra il 1994 e il 2001 agli spettacoli Edipus, Cleopatràs, Due lai e L’Ambleto: i due artisti hanno in comune l’amore per il teatro e le origini lombarde.

La Madonna rappresentata da Lombardi ha parvenze umane; è una donna umile e semplice che affronta con dignità il dolore per la morte del figlio in croce. Il cordoglio non è percepibile tanto dal significato delle parole – talvolta inafferrabile – quanto dai suoni che tendono alla “u”, al pianto e al lamento. Legge Sandro Lombardi: «Cos’è che fa, cos’è che vuole ‘desso el mio Gesù? Sbassa la testa, la sulleva, poi la reporta ammò de giù e intanta coi labbri tutti crepati e sfinitati dise: sì, sì, l’è inscì».
Quel che più colpisce di Mater Strangosciàs è che la Vergine testoriana non sia una figura mitizzata, riconducibile alla iconografia classica, ma umana. Testori aveva ricevuto un’educazione cattolica, aveva simpatizzato con il movimento di Comunione e Liberazione e stretto una profonda amicizia con il suo fondatore, Don Giussani. Nelle Conversazioni con Testori (Guanda, 1993), l’autore afferma che, grazie a Comunione e Liberazione, aveva conosciuto la vera natura di Cristo: «Gesù Cristo ha la consistenza di un uomo reale, di un preciso avvenimento nell’arco della sto­ria umana».

Il secondo testo, pubblicato nel 1992 da Testori, che morirà l’anno seguente, invece, è stato letto dall’attore milanese e dall’attrice Francesca Ciocchetti, mentre Rosa Pitino ha suonato talvolta un colpo di gong, a scandire la drammaturgia. Sono in tre sul palco, vestiti di nero, mentre leggono scene apocalittiche nella Milano di Gli angeli dello sterminio. Il lessico è aulico, la lingua parlata è l’italiano, la protagonista indiscussa è la metropoli in fiamme. Il cuore della lettura è l’incendio in un carcere: chi abbia appiccato per primo il fuoco non si sa, il piromane è sconosciuto. La scrittura di Testori è cruda: nel testo vi sono continui rimandi a immagini sanguigne, a feti abortiti, a teste spaccate e a corpi martoriati.

Nessun effetto scenico sul palco; la parola, nella vocalità e nei contenuti, svolge il ruolo cruciale nei due spettacoli. Se la prima lettura  appare scorrevole, sebbene in una lingua inedita e razionalmente incomprensibile allo spettatore, un po’ perché la luce del tramonto nel chiostro è incantevole e suggestiva, un po’ perché il suono delle parole pronunciate dall’attore rivelano molto di più del loro significato, la seconda lettura è più difficile da interpretare da parte di chi legge, e da seguire per il pubblico, forse perché il testo richiede una concentrazione maggiore o per la calura serale che è ai limiti del sopportabile.

Al di là delle circostanze sembra che l’accentazione e il ritmo di una lingua dicano molto di più del senso delle parole, e questa intensa vocalità è il più grande insegnamento sulla commozione del teatro che ci lasciano Giovanni Testori e il suo testimone Sandro Lombardi.