Storie di “donne guerriere” fra lotte per i diritti, poesia e canzoni

Al Ravenna Festival lo spettacolo di parole e musica con Ginevra Di Marco e Gaia Nanni, tutto declinato al femminile

Donne Guerriere Di Marco Nanni

Ginevra Di Marco e Gaia Nanni in “Donne Guerriere” (foto Marco Parollo)

A volte il futuro ha le sembianze di uno scartafaccio da dimenticare in soffitta, quando le contingenze e le vicissitudini della vita rimandano i sogni troppo lontano per poterli realizzare.
Per fortuna però esistono le anime, coraggiose e indefesse nel credere in un mondo migliore, come quelle di Ginevra Di Marco e Gaia Nanni, che mettono in scena Donne guerriere al Palazzo dei Congressi di Milano Marittima per il Ravenna Festival. Sono accompagnate da Francesco Magnelli al pianoforte e magnellophoni e da Andrea Salvadori alle chitarre, tzouras ed elettronica: in quattro sul palco a dare voce alle storie di donne che hanno combattuto per i loro diritti non con la forza, la rabbia o con la rivoluzione, ma attraverso l’esempio.

Lo spettacolo inizia con una musica le cui parole sono difficili da decifrare: l’unica parola netta, precisa e afferrabile è “donna”. Un messaggio chiaro e onesto viene subito lanciato: la donna sarà la protagonista della performance. Un certo timore si insinua nello spettatore, consapevole che il tema è insidioso, delicatissimo e per lo più scomodo: può cadere facilmente nella polemica o nei cliché.

Segue la recita di Le donne della mia generazione di Luis Sepuldeva da parte di Ginevra di Marco, vestita di nero, e di Gaia Nanni, vestita di un pomposo abito arancione: entrambe al collo indossano una lunga ed elaborata collana inanellata, che appare pesante, forse simbolo di una storia millenaria femminile difficile da staccarsi di dosso.

Le due protagoniste dialogano sul fine della loro arte. «Perché tu canti?», chiede Gaia a Ginevra, cantante principale dello spettacolo. «Perché tu reciti?», risponde Ginevra a Gaia, attrice versatile che si distingue per il caleidoscopio di accenti vocali che adotta durante la performance, dall’intonazione siciliana, a quella ucraina, dalla fiorentina alla francese a seconda dei personaggi che interpreta.

Poi raccontano le vicissitudini di donne che hanno segnato la storia senza sapere di contribuire a cambiarla come Rosa Parks, Artemisia Gentileschi, Anna Magnani, Nilde Iotti o Virginia Woolf. Ma la gran parte parte dello spettacolo è dedicata alle vite di Rosa Balistreri e di Caterina Bueno, due cantautrici e interpreti della canzone popolare italiana.

Rosa Balistreri proveniva da un paese in provincia di Agrigento e da una famiglia poverissima. Il suo matrimonio – e come quello di molti nel Novecento e nei secoli precedenti – era stato un vincolo combinato, avvenuto in età adolescenziale. Rosa tentò di uccidere il marito, che tuttavia non morì, dopo aver saputo che egli aveva perso al gioco il corredo della figlia. Visse successivamente per un lungo periodo a Firenze, dove ebbe una relazione con il pittore fiorentino Manfredi Lombardi. Partecipò, inoltre, a Ci ragiono e canto, spettacolo di canzoni popolari condotto da Dario Fo.
Caterina Bueno, invece, proveniva da una famiglia agiata: il padre era un artista spagnolo, mentre la madre era svizzera; De Gregori le dedicherà la canzone Caterina. Entrambe sono accomunate dalla città di Firenze, dalla passione per il canto popolare e per l’ostinazione con cui rigettano un destino assegnato loro. Rosa, ad esempio, avrebbe dovuto lavorare nei campi per tutta la vita; imparò a leggere e a scrivere solo all’età di trentadue anni e a distinguersi nel canto, che fu per lei grido politico contro gli abusi e le prepotenze.

Con frizzante ironia e a tratti con amara allegria, le due attrici raccontano storie di violenza, di sogni proibiti, di licenziamenti a causa di gravidanze, di matrimoni combinati, di operaie, di contadine, di badanti, di donne che si sono adattate alle esigenze degli altri e anche donne che hanno ribaltato il meccanismo sociale, secondo cui l’uomo debba avere il predominio, grazie alla tenacia nelle loro idee e all’autenticità.

La performance è un alternarsi di dialoghi, monologhi, poesie e bilanci personali: ogni scena è spezzata dall’altra e intervallata per lo più da canzoni – anche inedite – che rendono omaggio alle due storiche cantanti e alla canzone popolare.

Mettere in scena chi altrimenti sarebbe rimasto nell’anonimato è un atto di grande coraggio. L’originalità del lavoro consiste nell’affrontare le problematiche dell’emancipazione della donna senza polemica o connotazioni morali; il giudizio è accantonato per lasciare spazio alle storie di personalità che sono rimaste in penombra. I temi come la violenza femminile o la parità non ancora raggiunta attraversano i dialoghi senza appesantirli: se il pubblico vorrà capire, capirà, comunque avrà trascorso una piacevole serata in compagnia di un’ottima musica.

Paiono arrabbiate le due attrici, un po’ lo sono veramente, ma c’è una leggerezza nel loro raccontare che deriva da una consapevolezza e da una decantazione delle emozioni inusitata. E soprattutto c’è una complicità tra le due protagoniste così lontana dalla realtà che riproducono in una scena: due signore, emblema del chiacchiericcio che l’invidia sedimenta – proprio tra donne –, si chiedono osservando una cantante: «Perché canta? Non dovrebbe raccogliere le castagne?».

Rosa Balistreri avrebbe risposto loro che «Si può fare politica e protestare in mille modi, io canto». Anche Ginevra e Gaia fanno politica sul palco, complici, solidali, sorridenti e «Insieme», come viene ripetuto nell’ultima canzone.

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