«Il romanzo storico non esiste»: la provocazione del premio Nobel Olga Tokarczuk

In tanti al Festival della Letteratura di Mantova per la scrittrice polacca

Foto 10 09 23, 19 47 16I capelli intrecciati a sottili dreadlocks e appuntati in alto, sorridente e con una voce a cadenza riflessiva, mite che però si innalza ad accenti decisi quando si esprime sulla sua scrittura: così si presenta 10 (si pronuncia Tokàrciuk) al pubblico del Festival della Letteratura di Mantova, accorso in massa all’incontro di chiusura per accogliere la Premio Nobel del 2018. Intervista l’autrice Wlodek Goldkorn, un giornalista come lei di origine polacca, che esordisce con un ampio e sincero panegirico: nessuno – afferma – ha scritto come lei in Polonia almeno negli ultimi 100 anni e questo è sicuramente il suo libro migliore. Con queste parole ammirate intende I Libri di Jakub, un romanzo storico – come preferisce definirlo Tokarczuk – ambientato nella seconda metà del ‘700 nel momento della dissoluzione dell’antico regno di Polonia. Mentre l’Illuminismo ad ovest manifesta già i primi segni di crisi, qui ad est – in luoghi divisi fra cinque lingue, tre frontiere e altrettante religioni – infuria un vento di idee nuove che si intreccia alla nascita dell’hassidismo, un movimento spirituale sorto all’interno dell’ebraismo. In questo contesto, un ebreo di nome Jacob Frank si presenta come il nuovo Messia sovvertendo le leggi dell’ebraismo. Nonostante le sue teorie provocatorie e azzardate per i tempi, molti diventeranno suoi discepoli anche dopo la sua conversione – vera o finta che fosse – al cristianesimo.

Già questa breve sintesi evidenzia la complessità della trama di un romanzo corale che non ha nulla di fantastico. Frank è infatti un personaggio realmente vissuto, scovato quasi per caso dalla scrittrice in una delle sue abituali esplorazioni nelle librerie antiquarie: la sua storia, le sue teorie si trovavano in un libro antico scritto dai discepoli. Jakob si è manifestato come personaggio inconsueto, affascinante, insolente. E soprattutto, quasi del tutto dimenticato. Tokarczuk ha compreso che l’oblio riguardava “una storia scomoda per tutti”: per ebrei, cattolici, e per gli stessi discepoli del maestro, successivamente integrati nella buona società polacca, francese, tedesca. La ricostruzione storica – che l’autrice dichiara essere una passione intensa e continua della sua vita – le è costata 8 anni di lavoro. Un lungo tempo per scrivere un grande viaggio, come suggerisce il sottotitolo, che si dispiega attraverso quasi un migliaio di pagine a cui ci possiamo abbandonare come ad un romanzo di avventure, come suggerisce la scrittrice. Ma anche leggerle in chiave contemporanea – continua Tokarczuk – perchè i personaggi sono alla ricerca della propria identità, del proprio posto in una società in forte cambiamento.

Foto 10 09 23, 18 53 01Una delle questioni di fondo è la riflessione sul cristianesimo e su quale religione possa essere considerata base dell’attuale Europa. La seconda è la questione sociale: i protagonisti sono poveri che vivono sulla frontiera dove commerciano con l’Impero Ottomano e a poco a poco entrano a far parte di un nuovo sistema sociale. Il libro può essere considerato anche come un trampolino per nuove ricerche in modo da rompere alcune stereotipie, prima di tutto la visione della civiltà ebrea polacca da sempre collegata solo all’Olocausto. Il desiderio era quello di ridare spessore alla cultura ebraica e all’incrocio di culture, popolazioni e convivenze diverse che esistevano nell’antica Podolia – oggi parte dell’Ucraina e Moldavia – dando modo di rileggere le radici della contemporaneità. Il collegamento è favorito dalla protagonista, una donna, la cui narrazione in “quarta persona” ha sostituito nelle prime stesure del romanzo il racconto in terza e poi in prima persona. Questa narratrice, dice Olga, conosce passato e futuro, conosce anche la stessa autrice del romanzo, creando uno spazio completamente autonomo per la propria voce.

L’incontro a Mantova si conclude con una provocazione di Tokarczuk: il romanzo storico – il genere individuato per questo libro – non esiste perchè in realtà parliamo sempre solo di ciò che vediamo nel passato attraverso le prospettive e urgenze della contemporaneità. Parliamo di donne che c’erano ma che sono solo nominate nelle testimonianze storiche in cui spesso appaiono schematiche, senza personalità. Allora occorre grattare la superficie, dice l’autrice, integrare con fonti che esistono, come le lettere di alcune figure femminili di spicco che hanno influenzato la politica del tempo. Un lavoro immane che secondo Olga costringe ad un’intensità carnale e quasi priva chi scrive dell’energia vitale. Tutta la fatica poi si dimentica e quel che resta al pubblico mondiale è un nuovo nato, tutto da leggere.

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