La resurrezione del mosaico nel museo della città

Il nuovo piano terra del Mar, tra mediazioni e difficoltà di allestimento

Notte Europea Riallestimento

L’inaugurazione del riallestimento della sezione mosaici al Mar – lo scorso 12 maggio – ha avuto la sfortuna di anticipare di pochi giorni le gravi alluvioni sul territorio col risultato di passare ingiustamente in sordina ma, superato lo shock e in prossimità dell’apertura della Biennale del Mosaico, torniamo a questo importante evento espositivo. L’idea base del progetto è chiara: sostenere la centralità del mosaico contemporaneo per Ravenna a partire dalle prime esperienze di opere musive autonome dalla copia tardoantica, realizzate alla fine degli anni ‘50, fino alla produzione più recente senza dimenticare il collegamento alla tradizione che rende note in tutto il mondo le nostre basiliche e i monumenti tardoantichi.

La consistente collezione pubblica dei mosaici può farsi iniziare nel 1959 quando Giuseppe Bovini ebbe l’idea di coinvolgere alcuni maestri del ‘900 – fra cui Birolli, Capogrossi, Chagall, Moreni, Vedova – affinché collaborassero con i mosaicisti ravennati. Lo scopo di rilanciare con questa iniziativa il linguaggio musivo ebbe successo e la serie dei mosaici realizzati – ancora oggi di proprietà della Camera di Commercio, del Rotary e della Provincia di Ravenna – ha girato il mondo come vetrina della città fino almeno al 1969, quando tornò definitivamente a Ravenna venendo poi collocata nel 1986 nel quadriportico della Loggetta Lombardesca. Nel tempo, altre opere si sono aggiunte alla collezione pubblica – come i mosaici a soggetto dantesco del 1965 oggi al Museo Tamo – grazie anche ad una serie quasi ininterrotta di esposizioni che iniziano dalla metà degli anni ‘70: fra queste, le più importanti sono la prima rassegna del mosaico moderno (1976) a cui seguono le mostre Prototipo Mosaico (1986), De Mosaico (1987) e Oggetti del desiderio (1997) che indagano la relazione fra mosaico e design contemporaneo. Col passaggio al nuovo millennio l’incremento della collezione prosegue tramite donazioni e numerose iniziative: l’istituzione nel 2009 del premio internazionale Gaem (Giovani artisti e mosaico) e del contemporaneo Festival internazionale portano ad un’interessante mostra nel quadriportico del Mar dando avvio alle edizioni della Biennale del Mosaico. Nel 2013, il nuovo catalogo della collezione musiva a cura di Linda Kniffitz e Chiara Pausini coincide col riallestimento permanente – nel chiostro del Mar – dei mosaici moderni e contemporanei, concretizzato grazie a una generosa sovvenzione di fondi europei: l’intento è quello di evidenziare l’autonomia del linguaggio e la vitalità della produzione del territorio testimoniata anche da una serie di mostre temporanee fra cui quella curata da Alfonso Panzetta nel 2017.

Apparentemente tutti d’accordo su questa linea, l’allestimento del 2013 – condotto nell’ultimo anno della direzione di Claudio Spadoni – viene fatto scomparire nell’estate del 2020, causando una sensibile frattura fra museo e città. La colpa della rimozione viene data ai lavori di ristrutturazione ma è dovere di cronaca ricordare che fino al 2022, cioè fino all’arrivo dell’attuale direttore Roberto Cantagalli, non risultava nessun progetto sulla ricollocazione dei mosaici al Mar. Per questo, il riallestimento di quest’anno – finanziato da Regione, fondi europei e Rotary – viene salutato come Lazzaro uscito dalla tomba. Creato un nutrito comitato scientifico – composto da storici dell’arte, docenti dell’Accademia e università, funzionari di musei, Scuole di alta formazione, Soprintendenza – si è dato inizio a un lungo lavoro di mediazione sulle scelte e le soluzioni di allestimento affidate in ultimo al direttore del museo e all’architetto Nicola Nottoli dello Studio Macro Macchine Narrative di Lucca.

Declinazioni Contemporanee Mar

Il nuovo allestimento – visitabile con biglietto d’ingresso – occupa oggi sei sale interne dell’ala est del piano terra del Mar per poi proseguire nelle due ali del quadriportico a nord e ovest. Gli spazi interni ospitano la prima sezione dedicata ai Mosaici Moderni del ‘59 che, dopo i recentissimi restauri sui telai lignei originali, vengono esposti accanto ai cartoni corrispondenti, anch’essi sottoposti a interventi di tutela. L’assenza della luce naturale nelle stanze toglie molto del fascino ai mosaici, privati delle variabili rifrazioni luminose, ma un buon impianto illuminotecnico permette il raffronto diretto fra opere e cartoni, evitando la loro esposizione alla luce diretta e alle variazioni di umidità. Le tabelle esplicative alle pareti narrano la nascita del nucleo mentre alcuni monitor presentano fotografie, documenti e filmati dell’epoca, contestualizzando l’evento e i protagonisti. Unica nota negativa è un’impressione di forte soffocamento nella prima sala dove le distanze fra le opere risultano claustrofobiche: fortunatamente, la sensazione si stempera negli spazi seguenti, allestiti con mosaici di dimensioni più ridotte e di formato verticale.

La seconda e importante sezione sul tema del Mosaico & Design si apre e chiude nella quinta sala, dedicata principalmente al lavoro dello studio Alchimia con la collaborazione dei mosaicisti ravennati alla fine degli anni ‘80. Anche qui il problema dell’allestimento segna qualche battuta d’arresto a causa di opere poste al centro della stanza che interferiscono coi mosaici alle pareti: il Mobile aulico di Gregori contrasta con le Pale di mosaico a parete – il tentativo di imitare la storica Stanza aulica del 1988 non riesce – mentre le sculture musive di Baj e Gregori limitano la visione dei ritratti a parete. 

L’ultima stanza ad angolo introduce alle Declinazioni contemporanee in cui sono state collocate opere di grandi artisti italiani tradotte a mosaico nel corso degli anni ‘90. Al centro della sala campeggia la grande Bambola orientale (1995) di Marco Bravura che meriterebbe – come in passato – uno spazio autonomo anche perchè nella sua abbondanza stilistica interferisce con la delicatezza della Chambre turque di Balthus e delle Montagne incantate di Antonioni, posizionati sulla parete di fondo. I problemi della sala sono diversi – fra distanziamenti mancati e posizioni penalizzanti – ma almeno queste opere di pregio sono state recuperate alla visione pubblica.

Utile e interessante risulta la comunicazione dei pannelli e video: un monitor con schede sintetiche mappa la sedimentazione musiva contemporanea in numerosi luoghi della città fra cui anche il Parco della Pace inaugurato nel 1988 in quella che all’epoca era la prima periferia della città. La scelta di non presentare una sezione dedicata a questo grande intervento – si delega a una sintetica scheda sul monitor e al bozzetto preparatorio dell’Albero della vita di Paladino – comprime la posizione del Parco nella linea storica del mosaico ravennate: la sua dimensione corale e internazionale lo rende invece difficilmente assimilabile a tutti gli altri interventi eseguiti in città.

Vicino alla pesante rampa di raccordo al quadriportico – prima tappa di un futuro progetto complessivo sull’accessibilità che riguarderà l’intero museo – è installato l’unico monitor interattivo che permette di ascoltare le voci transgenerazionali dei protagonisti del mosaico in città. L’idea che ha incontrato il favore del pubblico necessita di aggiustamenti per omogeneizzare interviste, riprese video e traduzioni ma si tratta di un work in progress – afferma il direttore – che potrà essere integrato e ampliato.

Infine, nelle due ali del quadriportico che terminano l’indagine si colloca una lunga e forse troppo ampia selezione di mosaici contemporanei, composta da opere donate, acquistate o vincitrici di premi, realizzate negli ultimi 20 anni da autori ravennati, italiani e stranieri di diverse generazioni. Nella prima ala del chiostro i mosaici sono montati in parte a parete, in parte su grandi pannelli autoportanti le cui dimensioni standard sono state imposte dalle misure di sicurezza e dalla possibilità di adattamento a nuove soluzioni espositive previste dal progetto di rotazione dei mosaici di questa sezione con altri conservati nei magazzini. Questa soluzione aumenta e rende flessibile lo spazio espositivo che nelle intenzioni del progetto realizza un certo numero di stanze virtuali che evitano interferenze stilistiche, differenze tecniche e un certo “effetto corridoio”. Purtroppo, la serie ingombrante dei pannelli – che sembrano funzionare soprattutto per i lavori più piccoli – abbassano il tono dell’esposizione tanto quanto la posizione infelice di alcuni mosaici a parete, sistemati in modo coincidente ai termosifoni.

D’altra parte, la scelta di esporre un numero elevato di lavori e di utilizzare solo due lati del quadriportico – riservando altri spazi a pianoterra e le ali restanti ad attività didattiche o a eventuali esposizioni temporanee – non ha lasciato molte alternative.

In sintesi, la resurrezione del mosaico è un miracolo di cui la città non può che gioire: tenendo in conto tutte le difficoltà di allestimento, non rimane che sperare in una selezione ragionata e più agile delle opere in rotazione e negli auspicabili aggiustamenti espositivi. Occorre infine non dimenticare che un museo dialoga con tutta la città e le sue varie forze creative: il mosaico – pur con tutta la sua centralità – non è l’unico linguaggio esistente sul territorio e la sua freschezza, addirittura la sua evoluzione, si deve a un dialogo serrato con tutte le altre arti visive.

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