Giovanni Gardini, di origini cervesi ma ravennate d’adozione, direttore della Raccolta Lercaro di Bologna e vice direttore del Museo Diocesano di Faenza, lavora come docente agli Istituti Superiori di Scienze Religiose di Rimini e di Firenze e come professore a contratto per l’università di Bologna, oltre che come guida turistica, divulgatore e giornalista pubblicista. La rubrica “Cartoline da Ravenna” su queste pagine porta infatti la sua firma. Dopo gli studi a Bologna, Ravenna e Roma, e grazie all’incontro con lo studioso Don Giovanni Montanari, approfondisce la storia dell’arte paleocristiana impegnandosi a trasmettere la memoria attraverso le immagini.
Il suo lavoro di divulgazione si declina in diverse forme, come convivono tra loro?
«Le mie sembrano attività diverse tra loro, ma sono legate da un filo conduttore: la passione per la narrazione. Anche i miei studi, tra arte paleocristiana e contemporanea, sembrano lontani, ma sono in realtà accomunati dalla ricerca di un nuovo linguaggio. L’arte paleocristiana nasce cercando nuove forme e figure per tradurre la propria esperienza di fede, mentre l’arte contemporanea cerca nuove parole, nuovi simboli per parlare al mondo di oggi. Entrambe creano un nuovo linguaggio attraverso l’immagine. Anche nel ravennate questi mondi coesistono e sono vicini. Quando lavoravo al Museo Arcivescovile di Ravenna, ad esempio, curai “Lacrime” con opere di Lucia Bubilda Nanni, una mostra che univa i ricami su tulle dei volti dell’ossario del cimitero di Ravenna alle iscrizioni funerarie del lapidario del Museo Arcivescovile, creando un dialogo tra le antiche lapidi e i volti dimenticati».
È cambiato il modo divulgare la storia dagli inizi della sua carriera a oggi?
«Sicuramente. Secondo me, il giusto approccio si basa sulla narrazione, e non sull’erudizione. Con il mio lavoro cerco di rendere partecipi le persone della meraviglia dell’arte. Apprezzo anche la figura del divulgatore che si muove attraverso i social, sono molto incuriosito da questo approccio, ma ho poco tempo per dedicarmici. Certo, è importante che nella narrazione non sia la figura istrionica del divulgatore a sovrastare l’opera stessa. Credo che vadano sfruttate tutte modalità che ci sono date per fare cultura. Oggi più che mai trovo fondamentale raggiungere un pubblico vasto, non specialistico. È anche per questo che è nata la rubrica “Cartoline da Ravenna”».
Come è nata la rubrica e quando?
«Spesso nel corso dei miei studi mi trovavo davanti ad aneddoti e curiosità storiche poco adatti alla pubblicazione scientifica, ma comunque accattivanti e degni di nota, così nel 2017 mi presentai da Fausto Piazza – allora direttore di Ravenna&Dintorni, testata che già apprezzavo – proponendogli la mia idea di una rubrica che potesse diffondere ai cittadini approfondimenti tra il serio e il faceto sulla storia di Ravenna attraverso le immagini delle “cartoline”. La prima, Quando Corrado Ricci “non le mandava a dire”, raccontava del battibecco tra l’archeologo e un vicino infastidito dai sarcofagi recentemente scoperti davanti alla sua proprietà. Questa curiosità era anche un pretesto per informare il lettore di come nei primi del Novecento, in piena guerra mondiale, a Ravenna si facesse comunque ricerca storica e archeologica ad alti livelli. Ad oggi sono state pubblicate più di 270 cartoline».
Crede che i cittadini ravennati siano interessati alla storia della città e consci del suo patrimonio?
«È da oltre cent’anni che Ravenna “promuove” il suo patrimonio, e c’è molta attenzione da parte della città per il suo valore e la sua storia. Trovo che Ravenna faccia un’ottima proposta in ambito culturale. Certo, la tutela e la promozione in questo ambito non è mai sufficiente, e sono sicuro che nasceranno nel tempo altre iniziative interessanti; la città è molto vivace intellettualmente. Io per primo sono rimasto piacevolmente sorpreso dal riscontro di “Storie di Ravenna” (che torneranno questo inverno nell’ambito della stagione teatrale di Ravenna, ndr)».
Come è nato anche questo progetto?
«Poco prima della pandemia fui contattato da Alessandro Argnani, co-direttore di Ravenna Teatro, che aveva in mente un progetto di narrazione a teatro che coinvolgesse me e lo storico Alessandro Luparini. Pensava che il nostro metodo di divulgazione fosse simile e appassionante e, dopo un primo incontro, abbiamo iniziato a progettare queste “storie” di Ravenna. Questi racconti, sotto la regia di Ravenna Teatro, assomigliano a un trebbo, sono una serie di narrazioni legate tra loro da un fil rouge. Parlando di Teodora, ad esempio, si può passare dall’Imperatrice alla parola d’ordine usata durante la resistenza, fino ad arrivare alla squadra di pallavolo ravennate. Sul palco, insieme a noi, si alternano docenti, esperti e storici. I dialoghi sono accompagnati dalla lettura di alcuni brani chiave da parte di un attore e, nelle ultime edizioni, anche dalla proiezione di brevi filmati e da musica dal vivo».