Chiara Lagani e la maternità: «Porto in scena l’ultimo dei tabù»

L’autrice e interprete ravennate al Rasi con un lavoro che chiama in causa anche il pubblico

Fanny & Alexander Armunia Foto Di Antonio Ficai 1Chiara Lagani, classe 1974, ravennate, è fondatrice di Fanny & Alexander, autrice e interprete di numerosi spettacoli che hanno sperimentato diversi linguaggi e ottenuto premi e riconoscimenti internazionali.

Nell’ambito di Fèsta, martedì 12 e mercoledì 13 dicembre porterà per la prima volta a Ravenna – teatro Rasi, ore 21 – uno dei suoi più recenti spettacoli: Maternità. Tratta dal romanzo di successo Motherhood di Sheila Heti (tradotto in Italia da Martina Testa e pubblicato da Sellerio), la produzione affronta un tema quanto mai complesso e oggetto recentemente di dibattito e particolare attenzione. Heti infatti in uno scritto dall’impronta fortemente autobiografica affronta il tema del desiderio o del rifiuto di fare figli.

Lagani, perché portare in scena proprio questo tema? E perché farlo adesso? La maternità o la non- maternità è ancora un tabù?

«Ci sono due ordini di ragioni. Il primo è politico e culturale, perché sì, credo sia ancora un tabù, uno dei pochi tabù a essere sopravvissuti in qualsiasi ambiente, anche dove, come in quello artistico-culturale, invece si sono fatti enormi passi avanti rispetto ad altri temi come l’identità sessuale. Intorno alla maternità è faticoso esprimersi, le donne continuano a vergognarsi di qualcosa di cui non dovrebbero vergognarsi. Viene fatta loro pesare un’eventuale infertilità, ma anche l’aspirazione a una carriera nonostante abbiano un figlio. Mi è sembrato un tema, e qui veniamo al secondo ordine di ragioni dietro questo spettacolo, perfetto per una ricerca in ambito artistico: volevo coinvolgere anche il pubblico adulto in uno spettacolo interattivo come era stato Oz per il pubblico dei ragazzi».

In che senso interattivo? Cosa viene chiesto al pubblico?

«Viene chiesto di esprimersi tramite telecomandi distribuiti prima dello spettacolo che offrono una scelta multipla. A volte sono questioni marginali, a volte frontali, si crea una zona di disagio e imbarazzo che va abbattuto. Questo tema mi sembrava ideale per esporre una sensibilità collettiva».

Per farlo è partita da un libro, non da un testo suo. Come ci ha lavorato? Le parole sono quelle della traduttrice Martina Testa?

«Sì, ho scelto di utilizzare il testo di un’autrice che ha fatto molto discutere. L’abbiamo contattata e ha approvato la nostra idea di spettacolo. Il testo è stato tagliato, molto manipolato, ma sì, sono partita dalla versione italiana».

L’autrice ammette di aver scritto una storia autobiografica, lei in qualche modo si è ritrovata in quella vicenda?

«Ci sono sicuramente delle risonanze, anche io non ho figli, anche se partivo da un presupposto opposto, perché io, a differenza, di Sheti, non ho deciso di non avere figli. Ma credo che in ogni caso l’autrice sia riuscita a porre domande, a mettere in crisi chiunque, perché questo è un tema che ci riguarda tutti».

In fondo, se non siamo tutte madri, siamo pur sempre figlie…

«Esatto, tutti e tutte noi abbiamo a che fare con il tema della maternità e mai come con questo spettacolo mi era capitato, nelle poche repliche fatte finora, che le persone mi aspettassero per raccontarmi le loro esperienze dicendomi “questo non l’ho mai detto a nessuno”».

In realtà ultimamente l’argomento sulla sacrosanta legittima scelta delle donne di non aver figli è stato molto dibattuto e ci sono state molte voci importanti a questo proposito. L’anagrafe ci dice che sempre meno donne fanno figli. Per chi crede possa essere più disturbante?

«Penso che nessuno possa avere certezze monocolori su questo argomento. Di primo acchito mi sembra respingente l’eccessiva sicurezza nell’affermare l’una o l’altra cosa, è un tema talmente complesso e inevitabilmente conflittuale che non credo possa essere trattato in modo troppo assertivo. Dovremmo tutte e tutti essere molto indulgenti. Questo tema merita indulgenza».

Nel dibattito odierno spesso si pensa alla maternità e non-maternità come una questione di libera scelta della donna come individuo. Eppure fare o non fare figli non è una questione anche politica, che riguarda la collettività sotto molti punti di vista?

«Certo, lo spettacolo nasce anche dal bisogno che sento di dover tenere alta la guardia su questo tema. Il problema vero è che soprattutto la sinistra non se ne è mai occupata. Per quante donne in realtà non si tratta di una scelta fino in fondo? Quante alla fine non fanno figli perché non possono permetterselo prima di una certa età, quando magari la biologia non te lo permette più? E la destra invece cerca di riportare la condizione della donna alla madre che rinuncia alla carriera, disposta a sacrificare la propria vita pubblica per quella privata. Infine, va detto che in generale, non tutto nella vita è scelta, a volte le cose accadono o non accadono e basta. Dobbiamo imparare a parlarne. Per questo, in occasione dello spettacolo, ho organizzato anche un incontro in Classense, il 13 novembre (ore 17.30), con Nadia Terranova e Simona Vinci, due scrittrici con cui mettere in comune esperienze».

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