La mostra: le Sedie Pensanti di BubyPerry, il modernariato tra arte e concetto

Dal simposio tra Margherita Hack e Peggy Gou alla riunione famigliare tra maiali giudicanti: l’artista ravennate Lucia “Bubilda” Nanni racconta la collaborazione con Elisa Perini, in un progetto che trasforma il modernariato in arte e concetto

 OSR6494Lucia “Bubilda” Nanni, ravennate classe 1976, approccia all’arte fin dall’infanzia, grazie alle giornate trascorse nello studio dello zio scenografo. Sogna una formazione artistica, ma viene indirizzata dalla famiglia verso quella scientifica, laureandosi poi in Filosofia all’università di Bologna. Ora le sue opere fondono concetto e indagine attraverso il particolare segno grafico della macchina da cucire.

Tra i suoi progetti più importanti, diverse riflessioni sul mondo entomologico e Lacrime, un censimento dell’ossario ravennate. Dal 2022, il sodalizio con un’altra artista ravennate, Elisa Perini (1973), ha dato vita a un nuovo ciclo, quello delle Sedie Pensanti, firmato “BubyPerry”, pseudonimo nato dalla crasi dei loro nomi e simbolo di una nuova identità condivisa.

L’ultimo lavoro di BubyPerry, dedicato ai “Suidi Pensanti”, è stato esposto all’M45 di Milano, nell’ambito della settimana del design, nella collettiva “Così lontano, così vicino” dedicata a quattro artiste (insieme a Nanni e Perini, Gisella Chaudry, Mara Fabbro e Alice Padovani). Da venerdì 19 aprile, SediMenti, i Gioielli Indiscreti, la prima serie di Sedie Pensanti, è esposta a Ravenna, negli spazi della Boutique Fantasque (via Cavour).

Nanni, come nasce BubyPerry?

«Da un rapporto di profonda amicizia tra me e Elisa Perini. Entrambe abbiamo sempre portato avanti progetti personali, passando comunque molto tempo insieme. Questa è un’altra forma della nostra amicizia. Il suo lavoro è da sempre incentrato sul materiale: dopo gli studi archeologici, si è trasferita in Spagna e ha lavorato come restauratrice al Museo Valenciano della Preistoria, dedicandosi allo studio dei materiali inorganici che ha perfezionato tra master e impieghi nei musei più importanti in giro per il mondo, come il British Museum. È lei a ricercare i pezzi di antiquariato e modernariato che usiamo come base per le nostre opere. Il suo amore per gli oggetti, che la porta anche a collezionare ombrelli e stranezze, si fonde alla perfezione con la mia anima analitica e filosofica, che mi fa entrare in profonda connessione con le cose».

E le Sedie Pensanti invece?

«Vedevamo la sedia come un oggetto a sé, un elemento essenziale, come una “piccola casa” dove si rimane soli e pensanti. La nostra prima serie,“SediMenti, le sedie pensanti come Gioielli Indiscreti”, è un cenacolo di figure femminili, dedicato a Moderata Fonte, signora veneziana del ‘500 che scrisse “Il merito delle donne”, un trattato pubblicato postumo sul rapporto tra uomo e donna, con evidenti critiche protofemministe. In queste pagine si intrecciano i racconti di sette donne, che parlano di desiderio e mancanza di libertà. C’è chi è nubile, vedova o zitella, chi ama la musica e chi le scienze, tante possibilità di vivere la femminilità accomunate dallo stesso bisogno di libertà. Tra le ispirazioni, anche “I gioielli indiscreti”, un libretto licenzioso di Diderot che immaginava una corte esotica messa in subbuglio dall’improvvisa capacità di parola degli organi sessuali delle cortigiane. Nel nostro simposio di Sedie Pensanti si mischiano, tra gli altri, i volti di Marie Curie e Maria Montessori, Clara Schumann e Peggy Gou, ed è bello pensare cosa si sarebbero dette in questo incontro. Siamo molto giocose nel nostro lavoro, ci siamo divertite a immaginare anche di cosa avrebbero potuto effettivamente parlare le loro vagine. Magari quella di Margherita Hack avrebbe avuto qualcosa da dire sugli astri…»

 OSR6466Dopo il simposio al femminile, una collezione dedicata alla figura del maiale, come mai è stato scelto proprio questo animale per rappresentare il nuovo ciclo?

«Ho iniziato a studiare l’iconografia legata al maiale preparando le scenografie per uno spettacolo di Andrea Spreafico, che ha debuttato in Norvegia la scorsa estate. Più studiavo il maiale e più mi innamoravo di lui, e lo stesso è stato per Elisa. Ci siamo innamorate del suo coraggio e della sua libertà, del suo “grufolare incessante” da cui tanto mi sento rappresentata. Abbiamo deciso di riscattarlo: oggi ogni epiteto legato al maiale è offensivo e dispregiativo, ma un tempo non era così. Ai tempi di celti e romani il maiale era simbolo di coraggio e forza, un animale libero e difficile da domare. Prima viveva nell’immensità dei boschi e oggi si trova stipato negli allevamenti intensivi, noi abbiamo cercato di ridargli una sua dignità. La somiglianza tra uomini e maiali poi è impressionante: non solo a livello medico, per la compatibilità di alcuni organi e del tessuto epidermico, ma proprio per il suo sguardo, più simile a quello umano di quello di qualunque scimmia. Questo sguardo ha giocato un ruolo fondamentale nella creazione della serie, che non vede i suidi solo pensanti ma anche giudicanti, come in un rimando alla scimmia di Restif de la Bretonne e al suo occhio di condanna verso gli abomini del genere umano. I Suidi Pensanti sono a tutti gli effetti una famiglia: Raimondo, il capostipite, figli e nipoti: è facile immaginarli un po’ giudicanti riuniti in una stanza».

L’utilizzo della macchina da cucire ha un significato particolare nella produzione di questi ritratti?

«È stato un caso in realtà. Dipingevo in giardino e vedevo gli insetti cadere sulla pittura fresca. Pensavo agli scritti di Walter Otto e Ernst Jünger, alla presenza divina dentro le cose e al paragone del nazista come insetto senza coscienza. Ho iniziato a riflettere sull’intelligenza materica dell’insetto: il suo corredo genetico è la sua sapienza, mentre noi per crearla abbiamo bisogno di studi e biblioteche. Ho iniziato ad indagarne la personalità e a innamorarmi della forma che racchiude la sua essenza: la bellezza della mosca e la sinuosità della zanzara. Così sono nati i primi ritratti di insetti, oltre che gli arazzi dedicati ad alcuni miei oggetti “totem”, come ad esempio i cotton fioc. Per realizzare queste opere sovrapponevo strati su strati di fili e stoffe, ma ad un certo punto non volevo più usare colla. Avevo bisogno di un nuovo strumento che mi permettesse di “attaccare” i tessuti, e ho provato la macchina da cucire, senza aver mai nemmeno fatto un corso di cucito. Facevo ciò che volevo fare nel modo in cui mi riusciva di farlo. Ho creato anche collezioni di vestiti, sempre “improvvisando”. Una mia collezione di giacche è stata presentata anche al Salone del Mobile nel 2018. Per creare le mie opere uso una vecchia macchina in acciaio, con pedale elettrico, uno strumento praticamente indistruttibile, che sopravvive alle generazioni. Non a me però, ne ho già rotte tre…»

Quella dei “Suidi Pensanti” è quindi la seconda esposizione nell’ambito della settimana del design, che rapporto c’è tra le due esperienze?

«In entrambe le occasioni ho avuto modo di esporre in spazi meravigliosi e di vivere una bellissima esperienza. Nel 2018 ho presentato le mie giacche, grazie a una collaborazione con Diamante Marzotto, nel quartiere Santa Marta, una delle zone più di rilievo in città. Quest’anno, grazie a Marco Bertoli e Angelo Enrico, abbiamo esposto all’interno del quadrilatero della moda, in una bellissima galleria nelle vie più centrali di Milano. Devo dire che l’esperienza di quest’anno si è fregiata di un valore unico: quando ho conosciuto le artiste con cui avremmo diviso lo spazio espositivo, mi è girata la testa. È scattata una complicità immediata, non sono abituata ad aprirmi così tanto e scoprire in questo modo il lavoro e la personalità delle altre artiste che mi circondano. Sono rimasta sorpresa e meravigliata».

 OSR6437All’interno del vostro percorso artistico rimane un qualche tipo di legame particolare con la città di Ravenna?

«Nel mio caso credo sia innegabile. Ritengo l’esposizione all’ossario di Ravenna la più importante che abbia mai fatto, un censimento dei volti “dimenticati”, della parte allora inagibile del cimitero della città. Un progetto a cui ho dedicato molti anni del mio lavoro, e che ancora si sta evolvendo. Anche il primo ciclo di Sedie ha un suo legame con la città: per gli scatti ufficiali abbiamo deciso di riportare metaforicamente gli strappi trecenteschi di Santa Chiara (conservati al Museo Nazionale, ndr) nella loro “sede”: l’abside di quello che oggi è il teatro Rasi. Ancora oggi devo ringraziare la allora conservatrice del Comune, Giorgia Salerno, e Alessandro Argnani di Ravenna Teatro, oltre che Elisa Emaldi e Serena Ciliani del Museo».

Cosa c’è nel futuro di BubyPerry?

«Tra i prossimi lavori, un nuovo ciclo di sedie legato alla numismatica, ispirato dalla bellissima raccolta del Museo Nazionale di Ravenna. Ho la casa piena di libri sull’argomento e non vedo l’ora di iniziare. Il nostro è un connubio destinato a durare e che non ha separazioni: integriamo saperi e conoscenze, guardiamo insieme mostre e passeggiamo per le città cercando scambi e ispirazioni».

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