La mostra dedicata a Claudio Montini si rivela una sorpresa, d’arte e di vita

Fino al 5 maggio a Cotignola un’esplorazione tardiva di una creatività avvolgente

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Il sospetto di una mostra condiscendente nei confronti di un amico pittore, scomparso troppo giovane, era più che legittimo: convinta però dalla curatela di Massimiliano Fabbri e dai nomi dei colleghi intervenuti con scritti nel catalogo di presentazione – oltre al curatore, Franco Bertoni, Emilio Dalmonte, Claudio Musso, Massimo Pulini – la decisione di visitare The End, la retrospettiva dedicata a Claudio Montini (1957-2021) all’ex ospedale Testi di Cotignola si è rivelata una sorpresa, d’arte e di vita.

Una sorpresa d’arte perché una buona parte della sessantina di opere in mostra sono di grande qualità e rivelano una visionarietà coinvolgente, appassionata e appassionante. Insieme è anche una sorpresa di vita perché l’attività pubblica di Montini è stata quella di grafico e solo gli amici più stretti conoscevano questa sua vocazione pittorica perseguita negli anni. Probabilmente chi ha frequentato la tre giorni di festa e insieme collettiva d’arte estemporanea di Cà Bruciata sulle colline di Brisighella – pensata, organizzata ogni anno dal 1987 in poi da Cesare Reggiani e Nedo Merendi, che ha ospitato decine di artisti locali e da tutta Italia – forse ha potuto incrociare il talento artistico di Montini. Ma solo queste occasioni fra amici hanno ospitato i suoi lavori. Solo qualche mostra soprattutto in Romagna, organizzata negli anni da Claudio Cerritelli, Aldo Savini, Franco Bertoni.

Il contatto sporadico col mercato l’aveva deluso e come tanti altri – probabilmente anche in virtù di un carattere schivo, incapace di sostenere quelle pubbliche relazioni che sono spesso il volano per entrare nel mondo dell’arte – aveva rinunciato a promuovere il proprio lavoro.

Così la mostra diventa un’esplorazione tardiva di una creatività avvolgente che è cresciuta fra gli anni ‘70 e ‘80 e si è nutrita della musica di allora, prima di tutti gli amatissimi Ramones e Guns N’ Roses, che poco hanno in comune con la passione di Montini per William Turner. In comune forse c’era solo lo spirito anarchico e poco incline all’osservanza delle regole. Poi ci sono gli amori verso le illustrazioni che siano di un asso ancora vivente come Roger Dean – che realizza alcune immagini simbolo di un’epoca da The Dark Side of the Moon dei Pink Floyd a Close to the Edge degli Yes – alle produzioni di Edmund Dulac, nato nel tardo ‘800 e scomparso a metà del secolo successivo, che riesce a prendere il meglio dalla cultura visiva del Modern Style nell’utilizzo di una linea elegante, raffinatissima, senza cedere un grammo alla pesantezza delle iconografie e ai contenuti del periodo. Anche qui, illustratori così distanti fra loro hanno forse in comune solo la tecnica puntuale che calibra la scrittura del segno e le argomentazioni dello sfumato, respingendo le immagini in una dimensione onirica avvolgente come tela di ragno.

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Poi c’è la passione per il fumetto e la cultura delle riviste degli anni ‘80-’90, ancora spaventosamente non confrontabili: poco in comune c’è fra la coppia Spirou e Fantasio, eroi di una serie a fumetti di fine anni ‘30, e il principe Valiant, cavaliere senza macchia e paura nato nella stessa epoca. Li avvicina solo un grande spirito di avventura che rilancia agli spazi fantascientifici e fantastici divulgati dalla famosa – per i boomers almeno – rivista Métal Hurlant creata a metà degli anni ‘70. Giunta in Italia nel 1981, vi collaboravano grandi disegnatori europei fra cui Moebius, Philippe Druillet e Milo Manara. Infine nella carta dei favoriti di Montini c’è la storia dell’arte: sul trono sta il pittore romantico inglese per eccellenza, William Turner, ispiratore di molti dei paesaggi infiniti di Montini caratterizzati da una pennellata in via di disgregazione ma dalla grande capacità evocativa.

In mostra a Cotignola le opere sono state accorpate per temi, accostando lavori di periodi differenti e dagli esiti non sempre uguali. Tutto parte dalla fine come recita The End del 2005, un profondo paesaggio turneriano che crea quinte prospettiche e il cui colore giallognolo, come di vernice ossidata nel tempo, restituisce una distanza nel tempo e nello spazio. Il rimando è a un paesaggio del passato, ricordato nel titolo da Remember del 1993: un paesaggio tanto vicino al paesaggio dei ricordi di Poussin e Lorrain, quanto distante per un’interpretazione nettamente romantica della natura. In fila sono paesaggi graffiati, scalfiti, in cui mulinelli di aria, fronde, acque o nuvole dettagliano paesaggi all’alba dei tempi, privi ancora di presenze umane.

La seconda sezione delle Nebbie e mostri marini è una retrocessione al mondo dell’infanzia. Ma fra le teste di creature di Lochness sfrigola una carpa a bocca aperta che innesta una dimensione tragica al quieto scorrere dei giorni. Viene in mente l’ultimo quadro di Courbet, creato in un esilio di solitudine e di giorni moribondi condotti in apnea. Non manca l’ironia nel mondo montiniano: la si recupera quando le protagoniste delle immagini sono donne o personaggi di favole: donnine alla Botero, ridicole pin-up, porcellini dagli occhi sperduti o grandi omini marshmallow usciti dalle inquadrature di Ghostbusters rendono ricco e sostanzioso un immaginario fluido, completamente incline a una deriva postmoderna.

Si passa poi agli Scenari e alle Bestie feroci in cui mi chiedo quanto abbia inciso l’immaginario artistico e cinematografico composto da iceberg e paesaggi lunari immaginati alternativamente da Friedrich e da Kubrick. Animali volanti come Ufo, cavalli di Troia perduti nelle foreste animano le altre sezioni di cui una – declinata tutta al verde – non fa che sintetizzare la poetica di Le rayon vert di Romher, dove solitudine e indecisione stringono le spire di una vita riscattata da un lampo. L’ultimo, prima che il sole muoia.

“The End”, ex ospedale Testi, Cotignola Fino al 5 maggio. Orari: ven 16.30-18.30; sab 10-12 e 15.30-18.30; dom 10-12 e 15.30-18.30.

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