lunedì
30 Giugno 2025
L'intervista

Torna il Grande Teatro di Lido Adriano: «I ragazzi odiano le menzogne»

Parlano i direttori artistici del progetto: Luigi Dadina delle Albe e i fratelli Vicari del Cisim

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Un Teatro Che Abbraccia 1Bambini e signori attempati vestiti da uccelli, che ballavano, cantavano, raccontavano storie sufi provenienti dal XII secolo persiano; metafisici direttori d’orchestra che dirigevano le onde dell’Adriatico, quasi a calmare le acque, a qualche settimana dalla disastrosa alluvione del ‘23. Il Grande Teatro di Lido Adriano, ancor prima che creazione artistica, è stato un appuntamento sociale e comunitario, di festa e condivisione, di unione di culture e anime diverse della città più meticcia della provincia.

Anche quest’anno il Grande Teatro torna in scena al Cisim, dal 30 maggio al 2 giugno (ore 20), conqualche importante novità. Ne abbiamo parlato con i direttori artistici: Luigi Dadina, storico componente del Teatro delle Albe, e i fratelli Federica e Lanfranco Vicari, animatori, assieme a Massimiliano Benini, del Cisim di Lido Adriano.

 

L’anno scorso il punto di partenza del Grande Teatro di Lido Adriano era un poema sufi del XII secolo. Anche quest’anno si rimane in Oriente, con una favola indiana, il Panchatantra. Come siete arrivati lì?
Dadina: «Volevamo rimanere in Oriente. È grande l’Oriente, gigantesco, pieno di storia. Non stiamo a spiegare perché a Ravenna guardiamo verso Est: è il nostro orizzonte. Dopo una serie di riunioni, Tahar Lamri mi ha parlato della storia di Dimna e Kalila, la versione araba di una di queste favole indiane contenute nel Panchatantra, che dal VI secolo invade prima tutto il mondo arabo, poi quello europeo. La favola ha avuto una diffusione incredibile, era famosa quanto i Veda o le Upanishad, almeno fino alla fine dell’Ottocento. Poi, in un qualche modo, scompare. Ci ha convinto perché volevamo continuare a lavorare sugli animali, come figure dell’inconscio umano che si animano nelle favole».

È una favola che parla di potere, di due fratelli sciacalli: uno vuole scalare la gerarchia, l’altro no. È un tema importante, oggi, per voi?
Dadina: «Assolutamente sì, lo è sempre. Il potere è la proiezione del nostro ego. Un dato esterno, politico, ma anche intimo, personale. Sappiamo quanto l’uomo possa essere fallocentrico. Queste favole erano scritte per insegnare ai giovani nobili come diventare re. Lavorando coi ragazzi di Lido Adriano è diventato subito chiaro come il meccanismo del potere è presentissimo anche nelle loro vite, in classe e fuori da scuola».
Lanfranco Vicari: «Una cosa interessante è che, in questa favola, nessuno dei due protagonisti sciacalli mette in discussione il potere. Sono entrambi assolutamente dentro il suo meccanismo. La favola era nata per educare principi: il potere non poteva essere messo in discussione nelle sue fondamenta, sarebbe stato sovversivo».

Come hanno risposto i ragazzi?
Lanfranco Vicari: «Spesso, nella favola, i protagonisti mentono. Lo sciacallo più ambizioso getta fango e veleno sul toro, che lui stesso aveva presentato al principe per fare bella figura. È un vero infame. Ecco: la menzogna è la cosa che in assoluto fa più arrabbiare gli adolescenti. Lo abbiamo capito da alcuni loro scritti (quest’anno alcuni adolescenti hanno scritto parti dello spettacolo). Davanti a questa rabbia mi sono accorto che, alla mia età, do quasi per scontata l’esistenza della menzogna e della malignità. Ci sono assuefatto. Abbiamo accettato, all’interno dei nostri piccoli poteri, la loro esistenza. I ragazzi no. Li puoi chiamare ingenui, immaturi. Ma secondo me questa loro purezza, questa loro rabbia è importante».

Rispetto all’anno passato, cos’è cambiato nel Grande Teatro?
Federica Vicari: «L’anno scorso, quando abbiamo messo in piedi il Grande Teatro, non avevamo ancora chiarissimi i metodi per arrivare al nostro obiettivo. L’abbiamo capito facendolo, ed è sempre l’apprendimento migliore. Quest’anno il coordinamento artistico conta addirittura 13 persone: Francesco Giampaoli, Alessandra Carini e Nicola Montalbini, Tahar Lamri, Federica Savorelli, Jessica Doccioli, Spazio A. C’è anche chi si occupa della nostra immagine: Nicola Baldazzi e i fratelli Tedde sono molto più coinvolti. Questa orizzontalità del progetto mi piace molto. E, forti dell’esperienza passata, quest’anno è stato più naturale raccontare il percorso, stringere legami con aziende e privati di Lido Adriano, con la Pro Loco; organizzare in tempi utili le squadre di lavoro e le comunicazioni col Ravenna Festival, che ringraziamo. Andiamo a migliorare, anche se, come si dice, non si arriva mai!»
Lanfranco Vicari: «Un’altra cosa che è cambiata molto, quest’anno, dipende dal testo. L’orizzonte linguistico è totalmente diverso. Se l’anno scorso la lingua era poetica, verticale, questa invece è una lingua di terra, c’è più realismo. C’è più società».

 

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Per quanto riguarda le musiche?
Lanfranco Vicari: «Giampaoli si è ispirato alle musiche di quell’area del mondo. Quest’anno le composizioni sono più sfaccettate. Soprattutto è presente un coro. Se l’anno scorso la parte melodica era affidata alla chitarra e alla voce solista di Jessica, quest’anno la novità è il coro, che viene usato come uno strumento. Naturalmente ci sarà anche il rap: stiamo pensando a un inedito con parole mie e voce di Jessica. E, non avendo più narratori, la musica diventerà quest’anno, allo stesso tempo, poesia e narrazione».

Anche i costumi e le scene sono una parte importante del progetto. Come vi siete mossi, quest’anno?
Federica Vicari: «Stiamo cercando di semplificare. L’anno scorso avevamo messo a dura prova le nostre bravissime sarte, che avevano confezionato ben 100 tuniche! La novità sarà una collaborazione con l’Accademia di Belle Arti di Ravenna. Cinque artisti selezionati da Nicola Montalbini, Alessandra Carini e Paola Babini avranno il compito di realizzare sia degli elementi scenografici, sia delle tappe dello spettacolo. Ci sarà un bel colpo d’occhio».
Lanfranco Vicari: «Per noi è molto importante che il Grande Teatro lasci delle tracce in città. L’anno scorso, ad esempio, abbiamo portato Eron, uno dei più importanti street artist italiani».

Dal punto di vista artistico c’erano cose che non volevate ripetere? O innovazioni che volevate inserire?
Lanfranco Vicari: «L’anno scorso ci sono state tante cose. C’è stata l’alluvione, che è stata un disastro, ma è stata anche il collante del gruppo, quando alla fine abbiamo deciso di andare avanti lo stesso. Quest’anno stiamo cercando di trovare l’equilibrio fra le varie generazioni, adulti e adolescenti. E la cosa bella è che il lavoro cambia ogni anno».
Luigi Dadina: «Ci siamo chiesti spesso che tipo di linguaggio stavamo adottando. Quando dico, anche provocatoriamente, che questo è un “teatro rap”, non voglio usare una facile etichetta. Lo dico tenendo in mente la lunga storia del Cisim, un pensiero che va avanti da 30 anni. Già le prime non-scuole di Lido Adriano erano piene di musica e di balli».
Federica Vicari: «Questo è un punto di forza. Potrebbe sembrare che il Grande Teatro sia qualcosa di parallelo alle attività del Cisim, ma non è così. È il cuore hip-hop del Cisim, costruito in tanti anni di lavoro. L’hip-hop è canto, musica, parola, danza, tutte cose che fanno parte del nostro Dna».
Luigi Dadina: «È in fondo un’idea antichissima, no? Il teatro è il luogo di tutte le arti. Che cos’è la lirica? Musica, danza, parola. Questo avviene dalla notte dei tempi e serve a vincere la paura del buio».

 

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