giovedì
19 Giugno 2025
LA RECENSIONE

La rinascita e lo sviluppo del mosaico, dalla scuola ravennate al contesto nazionale

Fino al 12 gennaio al Mar una mostra che fa capire come l’arte musiva si muova verso il contemporaneo

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Achille Funi
Due opere di Achille Funi esposte alla mostra

Pochi giorni ancora e la mostra I’m a mosaic al Mar di Ravenna chiuderà i battenti coronando le celebrazioni del centenario della nascita nel 1924 della Scuola di Mosaico presso la locale Accademia di Belle Arti. Due avvertenze prima di entrare fra i tardivi dei non pochi spettatori che hanno visitato l’esposizione: la sezione permanente del mosaico allestita a pianoterra va in buona parte considerata parte integrante e necessaria al percorso espositivo, non fosse altro per le parti che riguardano la mostra del 1959 dei mosaici tratti da opere di grandi artisti e le collaborazioni fra mosaico, arte e design degli ultimi 20 anni del Novecento. La seconda avvertenza riguarda le aspettative: l’esposizione ovviamente parte concettualmente da Ravenna e si allarga a saggiare il contesto della rinascita e dello sviluppo del mosaico a livello nazionale: ogni tanto si mantiene salda la barra dei rapporti fra Ravenna – fra scuola e professionisti locali – e il contesto nazionale, talvolta invece la mostra scarroccia verso il racconto del mosaico in Italia, al di fuori e oltre Ravenna, rendendo l’impresa affascinante ma con discrezionalità di criteri selettivi. Ad ogni modo, nella sua guida curatoriale a più voci la visita risulta piacevole e mette in grado di capire come l’arte musiva si muova negli ultimi anni sul piano del contemporaneo.

Si parte dal secondo piano, dove nelle tre sezioni storiche curate da Emanuela Fiori si racconta della nascita della scuola del mosaico nel 1924, del rilancio della tecnica musiva in Italia negli anni ‘30 da parte di alcuni artisti nazionali al servizio delle grandi decorazioni parietali che rispondevano ai fini educativi e propagandistici del regime, approfondendo uno di questi interventi eseguito a Ravenna. La sezione parte dagli anni ‘30, prendendo spunto dal Manifesto della pittura murale del 1933, firmato fra gli altri da Sironi, che ufficializzava l’arte pubblica su grande scala. In mostra sono presenti alcune splendide campionature di cartoni realizzate dallo stesso Sironi, da Funi e Severini, artisti che in occasioni e decenni diversi collaborarono con i ravennati per alcuni importanti interventi. Due splendidi cartoni di Sironi leggermente sacrificati e un terzo ben esposto introducono al lavoro che l’artista fece in parte eseguire al Palazzo di Giustizia di Milano dal ravennate Giuseppe Salietti con la collaborazione di Ines Morigi nel 1936. Mancano le fotografie del pannello definitivo collocato a Milano, che renderebbe chiaro il rapporto fra cartone e opera, mentre l’apparato è inserito in modo da contestualizzare i cartoni di Achille Funi per il mosaico del Palazzo della Cariplo a Milano (1941), affidato sempre a Salietti. Il mosaicista risulta essere l’esecutore privilegiato anche da Gino Severini, promotore dell’arte musiva anche in suolo francese: di lui sono in mostra due mosaici originali degli anni ‘30 e una copia che definiscono solo in parte la statura dell’ex futurista, la sua forte relazione con Ravenna e la riflessione sulla tecnica musiva da lui considerata una vera arte autonoma.

La sala successiva è dedicata alla nascita della scuola ravennate, indirizzata al restauro dei grandi monumenti musivi cittadini e secondariamente a opere di traduzione finalizzate alla decorazione. Qui sono esposti i ritratti dei pionieri della Scuola, fra cui il mosaicista Giuseppe Zampiga e il disegnatore e abile copista Alessandro Azzaroni – bellissimi i suoi disegni in mostra – ai quali Corrado Ricci affidò la realizzazione di tavole tratte dai mosaici ravennati.

Rimangono inesplorate le relazioni di Ravenna con la scuola di Spilimbergo, nata qualche anno prima di quella ravennate, e la collaborazione con le manifatture delle tessere e i mosaicisti di Venezia, talvolta chiamati in città a dare una mano; oscuri risultano ancora gli agenti e i motivi che in date antecedenti al 1933 aprirono a Ravenna la strada a una linea musiva fondamentalmente al servizio della grande decorazione parietale. Viene inserita invece la presenza di Cafiero Tuti – docente di decorazione dal 1932 – con alcuni bozzetti e le traduzioni in mosaico, di prassi affidate ad allievi e allieve della scuola. Sotto la guida di Tuti e di Signorini, che nel 1934 sostituiscono Zampiga, la Scuola si distinse sul piano nazionale partecipando a diverse Triennali a Milano, a numerose mostre nazionali a Roma e ad alcune mostre internazionali che vengono citate in catalogo. La sezione si conclude con un interessante approfondimento, grazie a fotografie, bellissimi bozzetti e cartoni, dell’intervento eseguito a Ravenna nella Sala dei Mosaici (ex Casa del Mutilato, 1940-42), l’esempio massimo locale di quella decorazione parietale destinata agli ambienti pubblici al servizio della retorica fascista.

Carlo Pasini
Carlo Pasini, “Arc en ciel”

Collegandosi a questa dimensione di arte pubblica si passa alla sezione contemporanea curata da Giovanna Cassese che illustra in video gli interventi a Roma e a Napoli che hanno coinvolto grandi artisti e mosaicisti non ravennati; l’intervento al Parco della Pace a Ravenna (1984-88), da considerarsi fra i primi di arte pubblica in Italia, avrebbe dovuto forse avere più spazio, anche per ampliare le informazioni che lo riguardano presenti nella mostra permanente al pian terreno.

Al centro della sala spicca un bel lavoro collettivo di un centinaio di mosaicisti, in gran parte ex allievi/e della Scuola ravennate, che riportano alla contemporaneità del linguaggio, esplorato nella successiva sezione a cura di Giovanni Gardini: qui sono allestiti i lavori di Fabrizio Plessi e Coltro, che restituiscono la dimensione smaterializzata della tecnica e i rapporti con la realtà virtuale. I mosaici possono essere sottomessi alle leggi della dinamica mediante effetti liquidi o venire modificati, come nel caso dell’opera di Coltro, modificata proprio di recente e da remoto. La sala successiva si collega nuovamente alla Scuola ravennate con la presentazione di opere di mosaicisti che insegnano oggi in Accademia – fra cui Silvia Naddeo e Leonardo Pivi – o di artisti, mosaicisti e non, che nel tempo sono stati invitati a lavorare con gli studenti di mosaico. Questa sezione, curata da Paola Babini, direttrice dell’Accademia, restituisce prove interessanti che rendicontano l’ampia creatività dell’istituzione in questi anni recenti in contrasto al rischio reale che il mosaico venga cancellato dagli insegnamenti delle scuole superiori del territorio.

La mostra riparte dal piano inferiore, dove le sezioni riaprono agli anni ‘50: un breve sipario illustra il rapporto fra mosaico e arte sacra – un capitolo che andrebbe esplorato perché centrale nella produzione ravennate almeno fino agli anni ‘60 – grazie al bozzetto e mosaico dell’Annunciazione di Alberto Salietti e al grande cartone tratto da San Vitale di Giuseppe Salietti. Pur accennando solo alla mostra del 1959,
che vide i mosaicisti ravennati tradurre progetti di artisti internazionali – visitabile nella permanente a piano terra – la sezione che segue rende la vitalità del mosaico negli anni ‘50, grazie a un interessante lavoro di Lucio Fontana ispirato all’arte antica ravennate. Belle anche
le opere di Campigli in mostra eseguite da Ines Berti e quelle di Afro e Capogrossi degli anni ‘60, nate a seguito della mostra del 1959. Le sale continuano con la presentazione di opere di artisti nazionali che hanno incrociato il mosaico attraverso gli anni ‘80 – fra questi Dorazio, Mondino, Veronesi e un insospettabile Morlotti ben tradotto a mosaico – penalizzati però da un sovraffollamento di opere che aumenta sensibilmente il contrasto di stile. Riallacciandosi alle precedenti sezioni del mosaico digitale e di arte pubblica, la mostra si chiude con opere eseguite nell’arco degli ultimi 30 anni: se più omogenea risulta la sala dedicata agli artisti della Transavanguardia – belli e ben allestiti i pezzi di Chia, Paladino e Cucchi – un po’ più confusa appare l’ultima sala, dove in sintesi sono allestite opere realizzate negli ultimi vent’anni. Nonostante una giusta distanza fra i mosaici, si fatica a mettere insieme lavori di artisti appartenenti a generazioni diverse e ad aree di poetica lontane, selezionati in base a un criterio che evidenzia la vitalità variegata del linguaggio piuttosto che linee omogenee di ricerca.

“I’m a Mosaic”; MAR, Ravenna; fino a 12 gennaio 2025; orari: fino a sabato 9-18, domenica 10-19. Ingresso 10 euro.

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